domenica 6 marzo 2011

Carlo Bo ed il mestiere del lettore


di  Lucidi Alceo

Caro Filippo tu oggi mi chiedi di parlare di Carlo Bo, nel centenario della sua nascita e nel clima di celebrazioni che ha avuto inizio per ricordare la sua figura intellettuale, ed io accetto di buon grado questo tuo invito. Mi chiedi di esplorare il suo rapporto con la lettura e di certo debbo scendere in un discorso che si addensa negli angoli riposti della mia anima, che trova una luce di consolazione ed un riscontro spirituale in un diretto, coinvolgente, sentito e mai concluso rapporto di costruzione di senso con le mie letture, con una dimensione particolare di lettura. E’ quell’esercizio severo ma stimolante che chiama in causa principalmente la nostra vera natura spirituale, il nostro essere veramente lettori solo alla luce fortificante e sorprendente delle parole, per così dire sprovviste di quella parte di caducità, di meccanica ridondanza, di schematicità di pensiero e di uso a cui una letteratura leggera, consumistica, standardizzata vorrebbe abituarci, sensualmente assuefarci.

Non è facile spiegarlo anche perché il discorso rischia di farsi così complesso da sfuggire alle nostre stesse suggestioni o ad un orizzonte di senso in grado di racchiuderlo nella mia limitata, stentata riflessione, ai nostri stessi gusti spesso sforzati o malamente educati.
Bisognerebbe qui sgombrare il campo da ogni equivoco, da ogni fuorviante generalizzazione e puntare invece sul fatto che per Bo la lettura fu sempre strettamente collegata alla sua opera di critico letterario, di pensatore, più in generale di scrittore. Né avrebbe potuto essere diversamente dato il contesto culturale ed intellettuale in cui si formò: quella Firenze degli anni ’30 del secolo scorso, unico vero avanposto di rinnovamento letterario in Italia, attorno a riviste, caffè, librerie ed un’editoria progressista, Vallecchi in primis, che favorì un confronto costruttivo e per certi versi una contaminazione tra aspirazioni e sensibilità di letterati, i quali, pur partendo da formazioni diverse, si rivolsero verso una visione ampia, libera e riformatrice dei processi culturali nel loro essere critici ed autori assieme. Facendo della letteratura un credo artistico ed un ancora di salvezza, il crocevia di valori umanistici contro la disumanità del potere e della dittatura fascista.
Bisognerebbe poi inquadrare il reale bisogno di lettura di Bo, il suo modo di viverla e prima ancora di concepirla, fedele nel tempo e assimilata ad uno stile di vita, ad un parametro di misurazione del vero, nella sua dimensione di scoperta, come “strumento di conoscenza” e di “approfondimento spirituale ed intellettuale”, come ebbe modo di dire tante volte e come avrebbe sempre professato, dandone una tangibile prova nel desiderio irriducibile di una esistenza praticamente riportata e confrontata con la lettura, all’insegna dei libri. E’ quell’ “io ho letto la mia vita, non l’ho vissuta” che ne fa la cifra ideale di un atto che procede ben oltre la memoria di un testo, ossia lo stato di adesioni emotivamente immediate, di suggestioni superficiali ed esteriori, di adattamenti al tempo, di riduzioni in un terreno di speculazioni ideologiche o divagazioni retoriche o ancora di sterili polemiche suggerite più da un incondizionato pregiudizio che non da un attento giudizio. Non è lì che va cercato il Bo lettore, ma in una facoltà di intuizione spirituale più aperta ed anzi decisamente vibrante ai suggerimenti dell’animo, mossa da un moto ricorrente, interiore, umile perché continuamente ricercato nel silenzio, sempre alluso e mai ostentato, con al proprio centro l’altro libro, il libro primo, di natura “perpetua”, che si affianca a quello letto, “ovvero quel patrimonio di nozioni scontate dentro di noi, […] e che ci deve servire di controllo, come materia di confronto, la prima materia di apparizione”.

 Un lavoro sulla parola durevole, dunque, la lettura, un serrato ed impegnativo travaglio di attese, silenzi, interrogazioni spirituali, nel dialogo incessante tra la propria interiorità e quella dello scrittore con manifestazioni ed effetti di lunga durata e ben successivi alla semplice presa di visione di un testo o ad una scontata temporalità. Il gioco di parte attiva e rispondente del lettore nell’interpretazione di un testo, nella sua libertà di movimento all’interno di esso crea una circolarità di interessi e di vicinanze di pensiero e sentimenti che prolungano la lettura, le attribuiscono una dignità superiore, uno statuto di appropriatezza conoscitiva, e soprattutto una sua “algebra”, un suo “alfabeto”, vale a dire una lingua riconoscibile solo a patto di entrare tra le pieghe di un libro, di ricostruirne la rete di rimandi e di sensi sottesi, di coglierlo in controluce, di aggiungerlo ad una sorta di diario interiore con il quale leggiamo criticamente gli eventi e superiamo la nostra condizione materiale, dandole un respiro, un senso di compartecipazione alle problematiche umane di fondo, una memoria del tempo sicuramente più ampi e validi.
In questi termini la lettura diviene una sorta di educazione, attenta e prolungata, lo specchio delle nostre vicende e trasformazioni dell’animo, una misura di paragone sicura. Non è cosa di poco conto né che possa consumarsi in una fuggevole sensazione, piuttosto un processo lento, irreversibile, ripreso ad ogni nuova esperienza con il testo. Un lettore non finisce mai di esserlo e quel suo gesto di entrare a contatto con il libro è un modo per gratificare la propria esistenza, insomma per amplificarne la portata ed il senso, per farne la parte migliore dell’esistenza stessa: da qui il titolo del suo saggio “Letteratura come vita” del 1938, non a caso (ri)conosciuto come l’opera di riferimento di Carlo Bo e del movimento ermetico, additato come il migliore concentrato della visione estetica del letterato.
A fare da sfondo al modo di concepire la lettura di Bo, gli autori più amati, quelli della grande letteratura spiritualista francese della prima metà del XX secolo e più volte richiamati nei suoi scritti: da Gide a Rivière, da Sainte-Beuve ad Alain Fornier che cito solo di sfuggita qui ma dei quali raccomando ad ogni modo un approfondimento.
Vorrei però solo segnalare il caso di André Gide, un autore sviante, fuggevole, controverso, laicamente intransigente quanti altri mai eppure capace di dare un’idea lampante del senso vivo, partecipato della lettura concepito da Bo, riportandomi proprio alle parole usate dal critico per illustrare il carattere innovativo del metodo di Gide. E’ il modo migliore secondo me per onorare un uomo, la cui imponente figura intellettuale mi ha sempre trasmesso un senso di timore reverenziale (non ho mai avuto il coraggio di incontrarlo anche se ho frequentato la sua Università e lo sento vicino a me ogni giorno come figura di paterno conforto), così come Fabrizio De André visse artisticamente nell’eterna suggestione del maestro Georges Brassens.
“Leggere non significa trovare delle conferme anzi serve soltanto ad educare, quindi a portarci fuori dalle abitudini, dal vizio, dalla palude di noi stessi. A questo riguardo non so indicare nessun lettore migliore di Gide. Tutta la sua vita spirituale è determinata dal moda delle sue letture. Sarà la lettura cosciente, contrastata, ripresa di infiniti accorgimenti intellettuali […]. D’altronde una simile lettura coincide esattamente col senso della sua vita spirituale […] originale è per lui aprirsi costantemente al senso della riprova: ma una riprova per nulla consolata, anzi spregiudicata e sull’argine della perdizione. Prendiamo il Vangelo – se ci è considerato considerarlo come un libro – e vediamo la lettura che ne ha fatto Gide. […] Per Gide è stato un libro aperto, vuol dire che la sua lettura è continuata al di là del testo pratico, il Vangelo fuso nell’ordine della sua vita non ha cessato di suscitare delle domande, di offrire delle nuove soluzioni. Gide deve averlo letto per riconoscersi e non in quelle parti che gli erano uguali e quindi indifferenti ed inutili del testo ma su quei punti che costituivano un impedimento e cadevano come oggetti di dialogo: di quel dialogo che è l’unica forma vera del suo discorso. Lo hanno accusato di sforzare il senso dei libri che leggeva ma dimenticavano che un libro è vivo proprio per il numero di interpretazioni che sostiene ed ammette, senza contare che appena un motivo era accettato nella sua storia diventava inerte ed oggetto di superamento”.
Per ulteriori approfondimenti ho predisposto di seguito una piccola bibliografia di testi decisivi per la comprensione del percorso di formazione del Bo lettore. Alcuni con un po’ di pazienza ed attenzione sono ancora in circolazione. Esiste un sito che raccoglie in rete le principali librerie antiquarie d’Italia dove è facile trovarli ed è il seguente: http://www.maremagnum.com/

Bibliografia di riferimento

1) C. Bo “Della lettura”, Urbino, Quattro Venti, 1987
2) C. Bo “Della lettura ed altri saggi”, Firenze, Vallecchi, 1953
3) C. Bo “Diario aperto e chiuso, Milano, Edizioni di Uomo, 1945
4) C. Bo “La religione di Serra, Firenze, Vallecchi, 1956
5) Giorgio Tabanelli, “Carlo Bo, il tempo dell’Ermetismo”, Milano, Garzanti, 1986, (edizione aggiornata in: Venezia, Marsilio, 2010. Disponibile in tutte le librerie e su siti internet specializzati).



Presentazione della fondazione Carlo e Marise Bola biblioteca di Carlo Bo
http://www.youtube.com/watch?v=K7WvvZz77A8

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