domenica 20 marzo 2011

Lolita : Nabokov - Kubrick




Prosegue la rassegna "Cine Ma Letterature" organizzata dall'associazione Blow Up  in collaborazione con l' assessorato alla cultura del comune di Grottammare e dedicata ai rapporti tra cinema e letteratura.


Martedì 22 marzo alle ore 21.30 un nuovo appuntamento della stagione ospitato alla Mediateca Comunale del Comune di Grottammare, sita nel Palazzo della Biblioteca Comunale. Si tratta di una serata di avvicinamento al testo letterario e a quello filmico in programma:

Lolita di Vladimir Nabokov - Lolita di Stanley Kubrick

Ad accompagnare il pubblico durante la serata ci saranno, oltre agli animatori di Blow Up (Tommaso La Selva, Fabrizio Leone, Giovanni Massa e Sergio Vallorani) Filippo Massacci (di Leggere 54), e le letture di Fernando Micucci ed Edoardo Ripani

Tutte le serate della rassegna sono ad ingresso gratuito con tessera-abbonamento F.I.C. rilasciata dall’Associazione Culturale BLOW UP (costo della tessera F.I.C. di Blow Up € 5)

Vladimir Vladimirovič Nabokov (Pietroburgo, 23 aprile 1899 – Montreux, 2 luglio 1977) è stato uno scrittore russo naturalizzato statunitense.

Stanley Kubrick (New York, 26 luglio 1928 – Harpenden, 7 marzo 1999) è stato un regista, fotografo, sceneggiatore, produttore cinematografico e montatore statunitense naturalizzato britannico.

Lolita è, probabilmente, il più celebre romanzo di Nabokov. Pubblicato nel 1955 a Parigi, dove l'autore viveva, suscitò subito scalpore e opinioni contrastanti per i contenuti. Nel libro si narra la drammatica storia di una passione morbosa tra un maturo professore e una giovanissima adolescente. Il termine lolita, anche per il film di Stanley Kubrick, è entrato nella cultura popolare e nel linguaggio ad indicare una giovanissima sessualmente precoce o comunque attraente.


Il docente Humbert, alloggiato presso la vedova Haze, la sposa pur di stare vicino alla figlia adolescente, di cui è innamorato. Quando la Haze muore, Humbert si mette finalmente con la ragazzina e con lei viaggia attraverso gli Stati Uniti. Lolita sparisce; riappare tre anni dopo, sposata e incinta.
                                                                  

Lolita di Kubrick del 1962, è sicuramente da considerare trà i suoi capolavori, uno dei suoi film più lucidi (nella costruzione narrativa) e cinici (nella rappresentazione dell'America borghese e della miseria morale dei personaggi). Geniale il personaggio di Quilty nell'interpretazione di Peter Sellers.


"Diverse persone mi hanno chiesto come sia possibile trarre un film da Lolita quando gran parte della qualità del libro dipende dallo stile della prosa di Nabokov. Ma considerare in un grande libro lo stile di scrittura come qualcosa di più importante di qualsiasi altra componente significa semplicemente non capire cosa sia un grande libro. Ovviamente la qualità della scrittura è uno degli elementi che rendono grande un romanzo. Ma questa qualità è il risultato della qualità dell'ossessione dello scrittore per il suo soggetto, per un tema e un concetto e una visione della vita e una comprensione del personaggio. Lo stile è ciò che un artista usa per affascinare lo spettatore in modo da poter trasmettere a lui i propri sentimenti, le emozioni, i pensieri. Sono questi a dovere essere drammatizzati, non lo stile. La messa in scena deve trovare uno stile proprio, cosa che farà se riesce davvero a impadronirsi del contenuto. E nel fare questo farà emergere un altro lato di quella struttura che è confluita nel romanzo. Il risultato può essere buono come il romanzo o non esserlo; talvolta può in un certo senso essere anche migliore". Stanley Kubrick



da Lolita di Vladimir Nabokov
"Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta. Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola
in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita. Una sua simile l'aveva preceduta? Ah sì, certo che sì! E in verità non ci sarebbe stata forse nessuna Lolita se un'estate, in un principato sul mare, io non avessi amato una certa iniziale fanciulla. Oh, quando? Tanti anni prima della nascita di Lolita quanti erano quelli che avevo io quell'estate. Potete sempre contare su un assassino per una prosa ornata. Signori della giuria, il reperto numero uno è ciò che invidiarono i serafini, i male informati, ingenui serafini dalle nobili ali. Guardate questo intrico di spine. Sono nato nel 1910, a Parigi. Mio padre era un uomo amabile e indulgente, una macedonia di geni razziali: cittadino svizzero, aveva antenati francesi ed austriaci, con un tocco di Danubio nelle vene. Tra un momento farò girare alcune splendide cartoline di un azzurro smaltato. Era proprietario di un lussuoso albergo sulla Costa Azzurra. Suo padre e i suoi due nonni commerciavano rispettivamente in vino, gioielli e seterie. A trent'anni aveva sposato una ragazza inglese, figlia di Jerome Dunn, l'alpinista, e nipote di due parroci del Dorset, entrambi esperti di materie astruse: la paleopedologia l'uno, le arpe eolie l'altro. La mia fotogenicissima madre morì in un bizzarro incidente (picnic, fulmine) quando avevo tre anni, e, se si eccettua un tiepido recesso nel passato più tenebroso, nulla di lei persiste negli anfratti della memoria, sui quali, se riuscite ancora a sopportare il mio stile (sono guardato a vista, mentre scrivo), era tramontato il sole della mia infanzia: certo voi tutti conoscete gli odorosi residui del giorno che restano sospesi con i moscerini su una siepe in fiore, o vengono improvvisamente penetrati da un gitante, ai piedi di un colle, nel crepuscolo estivo: un tepore di pelliccia, moscerini dorati.
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Io crescevo, sano e felice, in un mondo luccicante di libri illustrati, sabbia pulita, aranceti, cani amichevoli, panorami marini e visi sorridenti. Intorno a me il magnifico Hotel Mirana ruotava come una sorta di universo personale, un cosmo patinato dentro quello turchino, più grande, che folgorava tutt'intorno. Dagli sguatteri in grembiule ai magnati in completo di flanella tutti mi trovavano simpatico, tutti mi vezzeggiavano. Le anziane signore americane, appoggiandosi al bastone, s'inclinavano verso di me come tante torri di Pisa. Le principesse russe decadute, che non avevano di che pagare mio padre, mi regalavano dispendiosi bonbon. E lui, mon cher petit papa, mi
portava in barca e in bicicletta, mi insegnava il nuoto, i tuffi e lo sci d'acqua, mi leggeva Don Chisciotte e I miserabili; io l'adoravo, l'ammiravo ed ero felice per lui quando sentivo la servitù che chiacchierava delle sue varie amiche, creature bellissime e gentili che mi tenevano in gran conto, e tubando spargevano lacrime preziose sulla mia allegra orfanità.
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Questa, dunque, è la mia storia. L'ho riletta. C'è rimasto attaccato qualche brandello di midollo, e sangue, e mosche bellissime d'un verde brillante. A questa o quella delle sue svolte sento che il mio essere vischioso mi sfugge, scivola in acque troppo profonde e troppo oscure perché io osi sondarle. Ho mascherato quello che ho potuto per non ferire nessuno. E. mi sono trastullato con molti pseudonimi prima di imbattermi in quello particolarmente adatto a me. Ci sono, nei miei appunti, «Otto Otto» e « Mesmer Mesmer» e « Lambert Lambert », ma per qualche ragione penso che la mia scelta esprima meglio la turpitudine. Quando cominciai, cinquantasei giorni fa, a scrivere Lolita, prima in osservazione nel reparto psicopatici e poi in questa clausura ben riscaldata, seppur tombale, pensavo che avrei usato in toto queste note al mio processo, per salvare non la testa, naturalmente, ma l'anima. A metà dell'opera, tuttavia, mi sono reso conto che non potrei mettere in mostra Lolita da viva. Forse userò parti di queste memorie nelle sedute a porte chiuse, ma la pubblicazione dovrà essere rimandata. Per ragioni che potrebbero apparire più ovvie di
quanto non siano in realtà, sono contrario alla pena capitale; questa posizione sarà condivisa, io spero, dal giudice che emetterà la sentenza. Se fossi comparso in giudizio di fronte a me stesso, avrei dato a Humbert almeno trentacinque anni per stupro, e respinto le restanti accuse. Comunque sia, Dolly Schiller mi sopravviverà probabilmente di molti anni. Prendo la decisione che segue con tutta la forza e il sostegno legali di un testamento firmato: desidero che queste memorie vengano pubblicate solo quando Lolita non sarà più in vita. Così, nessuno di noi due sarà vivo quando il lettore aprirà questo libro. Ma mentre il sangue pulsa ancora nella mano che uso per scrivere, tu sei parte della benedetta materia quanto lo sono io, e posso ancora parlarti da qui all'Alaska. Sii fedele al tuo Dick. Non lasciarti toccare dagli altri. Non parlare con gli sconosciuti. Spero che vorrai bene al tuo bambino. Spero che sarà un maschio. Spero che quel tuo marito ti tratti sempre bene, altrimenti il mio spettro si avventerà su di lui come fumo nero, come un gigante forsennato, e lo dilanierà nervo per nervo. E non ti commuovere per la corte di C.Q. Si doveva scegliere tra lui e H.H., e si doveva lasciar esistere H.H. per un altro paio di mesi almeno, in modo che egli potesse farti vivere nella coscienza delle generazioni successive. Penso agli uri e agli angeli, al segreto dei pigmenti duraturi, ai sonetti profetici, al rifugio dell'arte. E questa è la sola immortalità che tu e io possiamo condividere, mia Lolita." 

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