sabato 23 luglio 2011

Il COCOMERO, ALIAS ANGURIA (Cucumber Slumber*)

é uno degli ortaggi più generosi, tanto da esser considerato frutto. Il cocomero non accetta compromessi: grosso, pesante mediamente più di dieci chili, gonfio d’acqua ed a forma oblunga difficile da sistemare in frigorifero, per cui va necessariamente tagliato, così da occuparne un terzo. E, d’estate, ne diventa il re: “Cocomero al ghiaccio” é scritto vicino ai banconi e refrigeratori lungo le strade; seguito, come una griffe, dal nome del venditore. Ortaggio che, talvolta, suscita vivaci discussioni familiari per diversità di gusti ed idiosincrasie che spingono a sostituirlo col melone. Strisciante cucurbitacea delle pianure irrigue dal buffo nome botanico: “citrullus vulgaris”. Gran gemello eterozigote del piccolo melone, battezzato in inglese: “water - melon”, “mellone ad acqua” nel Sud Italia e, chissà perché, da qualcun altro con l’irta parola “anguria”, in una perdente gara col rotondo evocativo “cocomero”. Cocomero, melone, popone, water - melon, mellone ad acqua: allegri peponidi. Ambigui parenti stretti dal sangue zuccherino, affratellati nel bagagliaio delle macchine ferragostane, in contigue vaschette di bar - gelaterie trasformati in gelati, cremolati, frullati e granite, affastellati in piramidi all’aperto sotto lo sguardo ozioso dei venditori. Di notte, i banchi dei cocomerai sono oasi nel buio delle città afose. Punteggiati da decine di lampadine pensili da teloni in mezzo piazze e slarghi cittadini, vicino fontane e ghiacciaie. Sormontati da tendoni che riparano allettanti schiere di fette vermiglie allineate sotto teche di vetro, talvolta accompagnate da meloni, cocco e frutta. Mucchi di cocomeri in attesa del loro turno ed altri immersi a rinfrescarsi in tinozze, tra gorgoglii d’acqua e pisciar di sifoni. E tavoli e sedie per consumare e chiacchierare. Luoghi ricettacolo di tiratardi, insonni alla calura estiva e nottambuli, come lanterne per falene. Luoghi d’ozio temperato, dove il tempo si ferma, svanisce la competizione diurna e ci si predispone all’incontro. Spicchi di paradiso terrestre. E nell’aria sospesa, spessa, torpida, della notte estiva delimitata dai baluginii di lucine del cocomeraio, perni d’insistenti danze alate e cozzi d’insetti tenebrosi, s’accende una fantasmagoria felliniana: le scorze striate si trasformano in gusci marezzati di tartarughe dal ventre bianco, con testa e zampe in procinto di far capolino ed incedere lentamente verso fontane e tinozze per bagnarsi e nuotare. Ci scuote un richiamo: “Prendi questo!”, suggerisce il mercante con aria complice, dopo aver picchiato con le nocche sul dorso d’un cocomero, in mezzo a decine, per sentire se “suona” bene e rifilato una pacca sonante a sigillo dell’acquisto. Ortaggio che soddisfa il piacere dei bambini (e qualche grande) d’affondare denti e faccia nella polpa evitando l’utensile coltello, ridotto solo a tagliar fette. Ortaggio che risveglia istinti primitivi: il piacere di lavarsi il viso nella polpa, con qualche risucchio più o meno prolungato ad aspirarne il succo in eccesso. Tentativo quasi sempre vano. Tentativo che fa assumere sempre, addestrati fin da piccoli, la curiosa posizione, capo e baricentro spostati in avanti rispetto l’asse verticale del corpo, tipica del “mangiatore di cocomeri all’impiedi”. Ortaggio che, anche per questo, suscita antipatie a mamme apprensive e massaie stanche di pulire pavimenti, pargoli, pantaloni e camicie di mariti. “Attento che cola!” é il grido d’accompagnamento femminile che precede i primi morsi. Morsi su morsi. A bocca piena e senza tregua. Per di più, con i risucchi fastidiosi che rompono il bon ton piccolo - borghese fatto di plastica, silenzio e pulizia. Ortaggio che riempie il secchio d’immondizia con bucce grondanti liquidi che, dopo poco tempo, emanano pesanti olezzi per la cucina. Guai a dimenticarsene un sol giorno, con i succhi che gocciano in rapida successione dalla busta di plastica e punteggiano il percorso fino al cassonetto dei rifiuti! Olezzi che diverse massaie non vogliono assolutamente sentire, liquidi che non vogliono assolutamente pulire lungo scale e pianerottoli. Ed ecco che, in alternativa, rispunta il co-stagionale, maneggevole, “pratico” melone in una ipotetica lotta all’ultimo succo davanti i potenziali acquirenti: Orazi e Curazi del reparto ortofrutta, greci e troiani delle offerte estive agli ipermercati, Moby Dick e Capitan Achab della filiera agricola - commerciale. Per l’eternità. Vegetale simbolo dell’estate come, con debite proporzioni, dell’inverno contadino lo é il quadrupede maiale. Ma, a differenza di questo, non strilla sotto l’incedere della lunga lama. Se maturo al punto giusto, scrocchia prima d’aprirsi in due mostrando simmetriche facce rosse, sotto sguardi compiaciuti, sorrisi ed esclamazioni dei presenti. Sempre uguali al compiersi del rito fatale. “Taja ch’é rosso!” esortano i venditori a Roma. Senza più il tassello della “provatura” a garanzia dell’acquisto; vile cedimento alla barbarie globalizzante. Ortaggio che deve esser consumato in tempi brevi e collettivamente. Non é per singoli. Icona vegetale di giovanili raduni notturni sulla spiaggia, tra falò e bottiglie. Preda succosa per bande di monelli che, a notte fonda di nascosto del padrone, consumano il frutto della razzia agreste alla fontana del paese. Prediletto in assoluto da moltitudini di gitanti fuori porta per esser messo a galleggiare, stavolta insieme ai meloni, ancorato con buste di plastica a rami che s’incurvano su rive e pozze di torrenti e ruscelli, sbarrato nella deriva a valle da piccole, improvvisate dighe di sassi o, meglio ancora, messo a bagno nelle fredde polle sorgive, in attesa della consumazione “en plein air” del pasto collettivo. Ed anche in abbeveratoi e fontane che fiancheggiano le strade, in una sorta di lunghissimo e rustico “drive in”, ad uso di vacanzieri automobilisti mordi&fuggi. Almeno, così pensano. Cocomero, ingrediente fondamentale degli italici e tribali riti agostani; con la rara virtù d’unire temporaneamente, senza distinzione di sesso, tutte le generazioni (fuori, una volta l’anno, ci si può sporcare un poco). Ortaggio che placa l’arsura estiva fino a tendere la pelle sotto il torace e gonfiare stomaco, pancia e vescica, con il susseguente bisogno impellente d’evacuarla. E guai, in questi frangenti, non avere a disposizione un pezzo di terra coperto da sguardi indiscreti, da un cespuglio, dal buio della notte o, peggio, d’una toilette. Ortaggio gonfio d’umori trasmessi ai suoi divoratori che, in campagna, li rendono nuovamente alla terra sotto forma d’urina. O, sotto la calura, trasudano dal corpo. Ortaggio che chiede attenzione esclusiva nella spesa: vuole una busta tutta per sé ed a malapena tollera la compagnia d’un piccolo melone: “O lui o me!”, sembra intimarci dalla sua ingombrante rotondità. Rotondità voluminosa, riottosa a contenitori, recipienti e ripiani. Rotondità mobile, gravosa e stucca - manici di buste fallaci che asseconda facilmente la fisica fino alle estreme conseguenze, spiacciccandosi a terra con grand’imprecazioni di chi l’ha comprato e trasportato integro poc’anzi. E poi, come se non bastasse, tocca pulire liquidi, schizzi e frammenti che, nello schianto, ha disseminato intorno, a largo raggio, proporzionale a peso ed altezza da cui é precipitato; perfetto esempio - effetto, della formula gravitazionale (da manuale) F = m x g. Il cocomero, alias anguria, va amato, condiviso e, soprattutto, assecondato.

Enzo Angelini  (  giornalista, scrittore )

*Cucumber slumber, letteralmente: “cetriolo - piacevole sonno”, da intendersi nello slang Usa: “sorprendente, divertente, orgasmico e grandioso”, da “Mysterious Traveller” - Weather Report - 1974
http://www.youtube.com/watch?v=_eUMQSfPtZU

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