
Proposta di lettura di Massimiliano A.
“ Il contrabbasso ” di Patrick Suskind
“Il contrabbasso” è un monologo teatrale dello scrittore e drammaturgo tedesco Patrick Süskind1 (più conosciuto come autore del celebre romanzo “Il profumo”).
Un anonimo contrabbassista classico (dell’orchestra di stato) parla ininterrottamente al pubblico dalle “mura” di una stanza insonorizzata dell’appartamento nel quale vive (solo con il suo contrabbasso), interrotto soltanto dalla necessità di bere qualche sorso di birra di tanto in tanto.
Süskind, con rara maestria riesce a farci percepire il malessere del musicista (e dell’uomo) attraverso un monologo che è al contempo pieno d’ironia, sarcasmo, tristezza e amarezza con l’effetto di una comicità tragica in cui domina una solitudine fisica e soprattutto psicologica.
Il soliloquio parte da una dissertazione autoincensatoria sul ruolo del contrabbassista nell’orchestra classica:
”Qualsiasi musicista le confermerà che un’orchestra può sempre fare a meno del direttore, ma non del contrabbasso. Per secoli le orchestre se la sono cavata senza un direttore. D’altronde nella storia della musica il direttore d’orchestra è un’invenzione più che recente. Diciannovesimo secolo. E anch’io le posso confermare che persino noi, nell’orchestra di stato, qualche volta rispetto al direttore facciamo di testa nostra. Oppure lo ignoriamo. A volte ignoriamo persino il direttore senza che lui se ne accorga. Lo lasciamo sbacchettare lì davanti quanto vuole e strimpelliamo come al solito. Non con il direttore stabile. Ma con un direttore straordinario, sempre. Sono le gioie più segrete. Da non dirsi. Ma questo a parte.
D’altra parte, se c’è una cosa inconcepibile è un’orchestra senza contrabbasso. Si può quasi dire che l’orchestra – siamo alla definizione – comincia a esistere soltanto quando c’è un contrabbasso. Ci sono orchestre senza primo violino, senza fiati, senza timpani e trombe, senza tutto. Ma non senza contrabbasso. Quello che voglio stabilire, è che il contrabbasso è di gran lunga lo strumento più importante dell’orchestra. Anche se non sembra.”.
Poi, lentamente e abilmente vira verso gli aspetti problematici del contrabbasso, uno strumento per cui occorre notevole forza fisica per essere suonato, e cura ed attenzione per ottenerne, in definitiva, solo delusioni:
“Il contrabbasso è, come dire, più un ostacolo che uno strumento. Non lo si può sollevare, bisogna trascinarlo, e se cade a terra si rompe. In macchina entra soltanto se si toglie il sedile anteriore. E in questo caso la macchina è già piena. In casa bisogna sempre evitarlo. Se ne sta lì in modo così…così idiota, capisce, ma non come un pianoforte. Perché un pianoforte è un mobile. Un pianoforte si può chiuderlo e lasciarlo dov’è. Un contrabbasso no. E’ sempre tra i piedi come…Una volta avevo uno zio che era sempre malato e si lamentava sempre che nessuno si curasse di lui. Così è il contrabbasso. Se Lei ha ospiti, si mette subito in primo piano. Tutti parlano solo di lui. Se vuole stare da solo con una donna, lui è lì e sorveglia la situazione. Se la cosa diventa intima - se ne sta lì a guardare. Si ha sempre l’impressione che voglia prendere in giro, rende ridicolo l’atto sessuale. E ovviamente quest’impressione si trasmette alla partner, e poi – lo sa anche Lei, come sono connessi l’amore fisico e il ridicolo, e come mal si tollerano! Che miseria! Non è decoroso, ecco tutto.”
Emerge sempre più l’’amore-odio per lo strumento antropomorfizzato (“Sembra una vecchia grassa. Il fianco è troppo basso, la vita un disastro totale, troppo alta e non abbastanza stretta, e poi la parte delle spalle, esile,cascante e rachitica”) al quale dare le colpe dei fallimenti passati, presenti e certamente anche futuri. E mentre il musicista parla si ha l’impressione che tutte le sue considerazioni, recriminazioni e i suoi atti d’accusa travalichino la musica ed il musicista per estendersi alla società e all’uomo:
“Quando subentra il timpano, si sente fin nell’ultima fila e tutti dicono, ecco il timpano. Nel mio caso nessuno dice: ecco il contrabbasso, perché io mi perdo nella massa. Quindi in preatica il timpano è superiore al contrabbasso. Sebbene il timpano non sia no strumento in senso stretto, con le sue quattro note. Però esistono a soli di timpano, ad esempio nel quinto concerto per piano di Beethoven, ultimo tempo, nel finale. Lì tutti quelli che non guardano il pianista notano il timpano, e in un grande teatro sono almeno milleduecento, millecinquecento persone. Tante persone così non mi notano in tutta una stagione. Non deve pensare che io sia invidioso. L’invidia è un sentimento che mi è estraneo, perché so quello che valgo. Ma ho il senso della giustizia, e nell’attività musicale ci sono molte grosse ingiustizie. Il solista è travolto dagli applausi, oggi gli spettatori pensano che se non potessero più applaudire sarebbe una punizione personale; vere e proprie ovazioni sono rivolte al direttore d’orchestra; il direttore stringe la mano almeno due volte al primo violino; talvolta tutta l’orchestra si alza in piedi… - Un contrabbassista non può neppure alzarsi come si deve. Il contrabbassista – perdoni l’espressione – è a tutti gli effetti l’ultima delle pezze da piedi!
Esilarante infine il tentativo di autopsicanalizzarsi (salvo, subito dopo, decretare la fine della psicanalisi), quasi a giustificare, o almeno a dare un senso alla sua vita sino a quel momento:
Posso affermare che da noi, nell’orchestra di stato, su otto contrabbassisti non ce n’è uno che non sia stato maltrattato dalla vita, e al quale non si leggano in faccia ancora oggi i colpi ricevuti. Un tipico destino del contrabbassista è il mio: padre dominante, statale, non amante dell’arte; madre debole, flautista, persa nell’arte; io da bambino idolatro la madre; la madre ama il padre; il padre ama la mia sorellina; nessuno ama me – e ora veniamo al soggettivo. Per odio nei confronti del padre decido di diventare non un impiegato statale, bensì un artista; ma per vendetta nei confronti della madre mi dedico allo strumento più grosso, meno maneggevole, meno da solista che ci sia; e infine per offendere quasi a morte mia madre e nel contempo appioppare a mio padre ancora una pedata nell’al di là, divento proprio un impiegato: contrabbassista nell’orchestra di stato, terzo leggìo. In quanto tale, ogni giorno nel corpo del contrabbasso, il più grosso degli strumenti femminili – siamo alla forma – violento la mia propria madre. E questi continui simbolici rapporti sessuali incestuosi, com’è ovvio generano ogni volta una catastrofe morale, e questa catastrofe morale è scritta in faccia ad ognuno di noi bassisti.
1 Dalla quarta di copertina: Patrick Süskind è nato nel 1949 ad Ambach, in Baviera. Ha vissuto a Monaco e a Parigi, prima di rifugiarsi in un paesino della Francia sud-occidentale. Dopo aver esordito con il testo teatrale Il contrabbasso (scritto nel 1981 e pubblicato nel 1984), si è imposto all’attenzione della critica e del pubblico internazionali con il suo primo romanzo, Il profumo (1985), fenomeno letterario e caso editoriale tra i più rilevanti degli ultimi anni. In seguito ha pubblicato Il piccione (1987), Storia del signor Sommer (1991) e Ossessioni (che raccoglie «tre racconti e una riflessione» composti tra il 1975 e il 1985) e Sull'amore sulla morte (2007).
Buone letture,
Massimiliano
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