"Andò
in cucina,raccolse alla rinfusa carte di giornale e trucioli e accese un fuoco
sulla lastra del focolare. Quando il fuoco raggiunse una considerevole altezza
e ampiezza, Mendel andò con passo deciso all'armadio e tirò fuori il
sacchetto di velluto rosso in cui si trovavano i suoi filatteri, il suo talèd e
i libri di preghiera. S'immaginava come questi oggetti sarebbero bruciati. Le
fiamme afferreranno la stoffa ingiallita del manto di pura lana di pecora e
l'annienteranno con lingue appuntite,azzurrognole,voraci. Il bordo luccicante
di fili argentei si carbonizzerà lentamente,in piccole spirali incandescenti.
Il fuoco arrotolerà pian piano i fogli dei libri tramutandoli in cenere grigio
argento e per un paio di secondi colorirà di sangue le lettere nere. Gli angoli
di pelle delle copertine si arricciano, si drizzano,come strani orecchi coi
quali i libri ascoltano quello che Mendel grida loro nella morte ardente. Una
spaventosa canzone grida loro."E' finita, finita, finita per Mendel Singer
egli grida e con gli stivali batte il tempo,così che le assi del pavimento
rimbombano e le pentole alla parete cominciano a tintinnare."Non ha
figlio,non ha figlia, non ha moglie, non ha patria, non ha denaro. Dio dice: ho
punito Mendel Singer; di che cosa lui, Dio,punisce? Perchè non Lemmel , il macellaio? Perchè non punisce
Skowronnek ? Perchè non punisce Menkel ? Solo Mendel punisce! Mendel ha la morte, Mendel ha la
pazzia, Mendel ha la fame, tutti i doni di Dio ha Mendel . E' finita, finita, finita
per Mendel Singer".
Giobbe è un uomo saggio e semplice che conduce un'esistenza banale, governata dalla ripetitività dei gesti di ogni giorno che assicurano ordine e stabilità al suo mondo. La situazione cambia alla nascita del quarto figlio menomato Menuchin , evento che rende fragile e incerta la sua vita. L'inaspettata apparizione del male e l'abbattersi dei drammi che lo spogliano gradualmente della sua remissività e lo pongono di fronte all'importante questione dell'accettazione del dolore come volontà divina, danno significato alla sua vita; il dolore è l'unico sentimento che può riscattare semplici esistenze. Il Dio ebraico è il Dio dei dieci comandamenti, è Logos che non diventa carne come quello cristiano, pertanto il solo modo di raggiungerlo è praticare la via della conoscenza. Questo fa Mendel, egli è un maestro "come migliaia e migliaia di ebrei prima di lui". Nonostante la saggezza però, l'uomo non riesce a capire perché il giusto possa essere infelice. Ma questo resta un interrogativo umano: i piani divini sono imperscrutabili, un mistero al quale si deve aderire tramite la fede. Quando altre disgrazie si abbattono su Mendel, nella grande e generosa America "che tutto dà e tutto prende", egli perde la capacità di sperare e al contrario del Giobbe biblico, tenta di ribellarsi a Dio, sfida il suo silenzio, lo vuole bruciare. E' solo e in collera con Lui ma allo stesso tempo lo teme perché la vera sapienza è il timore di Dio. Il miracolo è allora l'unica risposta possibile al suo dramma: Menuchin, il figlio malato guarisce, diventa un compositore di fama internazionale e come aveva profetizzato il rabbi: "Il dolore lo farà saggio, la deformità buono, l'amarezza mite e la malattia forte." L'interrogativo che pone questo libro è nel rapporto tra dolore e crescita spirituale. La sofferenza viene considerata qualcosa di esterno alla dimensione umana (una punizione divina appunto), però è un mezzo preferenziale di comunicazione con la divinità perché rompe l'identificazione narcisistica con il proprio ego. E la speranza , oltre ogni mortificazione, si riaffaccia testarda a consolare l'animo dell'uomo sofferente . Il dolore porta alla saggezza e la saggezza a Dio.
Nel Giobbe di Roth trapela tutta la forza della cultura ebraica e questa è commovente.
Melissa
Giobbe è un uomo saggio e semplice che conduce un'esistenza banale, governata dalla ripetitività dei gesti di ogni giorno che assicurano ordine e stabilità al suo mondo. La situazione cambia alla nascita del quarto figlio menomato Menuchin , evento che rende fragile e incerta la sua vita. L'inaspettata apparizione del male e l'abbattersi dei drammi che lo spogliano gradualmente della sua remissività e lo pongono di fronte all'importante questione dell'accettazione del dolore come volontà divina, danno significato alla sua vita; il dolore è l'unico sentimento che può riscattare semplici esistenze. Il Dio ebraico è il Dio dei dieci comandamenti, è Logos che non diventa carne come quello cristiano, pertanto il solo modo di raggiungerlo è praticare la via della conoscenza. Questo fa Mendel, egli è un maestro "come migliaia e migliaia di ebrei prima di lui". Nonostante la saggezza però, l'uomo non riesce a capire perché il giusto possa essere infelice. Ma questo resta un interrogativo umano: i piani divini sono imperscrutabili, un mistero al quale si deve aderire tramite la fede. Quando altre disgrazie si abbattono su Mendel, nella grande e generosa America "che tutto dà e tutto prende", egli perde la capacità di sperare e al contrario del Giobbe biblico, tenta di ribellarsi a Dio, sfida il suo silenzio, lo vuole bruciare. E' solo e in collera con Lui ma allo stesso tempo lo teme perché la vera sapienza è il timore di Dio. Il miracolo è allora l'unica risposta possibile al suo dramma: Menuchin, il figlio malato guarisce, diventa un compositore di fama internazionale e come aveva profetizzato il rabbi: "Il dolore lo farà saggio, la deformità buono, l'amarezza mite e la malattia forte." L'interrogativo che pone questo libro è nel rapporto tra dolore e crescita spirituale. La sofferenza viene considerata qualcosa di esterno alla dimensione umana (una punizione divina appunto), però è un mezzo preferenziale di comunicazione con la divinità perché rompe l'identificazione narcisistica con il proprio ego. E la speranza , oltre ogni mortificazione, si riaffaccia testarda a consolare l'animo dell'uomo sofferente . Il dolore porta alla saggezza e la saggezza a Dio.
Nel Giobbe di Roth trapela tutta la forza della cultura ebraica e questa è commovente.
Melissa
Ho da pochi minuti finito di leggere il libro che mi hai
consigliato:”Giobbe”..e volevo ringraziarti!!! È un libro bellissimo,
nonostante un’apparente tristezza di fondo che lo accompagna! È vero il finale
è stato forte e non posso negare che anche in questo caso non sono riuscita a
trattenere le lacrime… in fondo perché reprimere a forza un’emozione?! .. anche
se si tratta di un romanzo, di una storia inventa, e magari studiata apposta
per ottenere questo effetto?.... Credo che di qualsiasi cosa si tratti, di un
libro, di una canzone, di un film, di un’immagine, reale o artificiale che sia,
se riesce ad emozionare è meravigliosa!!!!
Il tema di fondo del romanzo è la
sofferenza, il dolore che vive anche chi
conduce una vita giusta e buona….. un tema che è sempre difficile da
capire e da accettare…. Anche perché
spesso siamo convinti di agire bene ma stiamo facendo l’opposto… c’è
anche da dire che non sempre è facile riuscire a capire cos’è bene e cos’è male….
Forse perché sempre meno ci fermiamo a pensare, sempre meno ci relazioniamo con
Dio e sempre meno pensiamo che la vita terrena non è eterna… che ciò che conta sono gli affetti quelli
veri e sinceri …e tenere duro davanti alle difficoltà della vita … e non
tradire mai noi stessi .
Daniela
Giobbe. Un libro che, a lungo, non si svela. Non capisci
perché, chi te lo ha consigliato, ti ha parlato di un libro sulla speranza.
Segui le vite di un uomo, e della sua famiglia, immaginando che di loro voglia
parlarti. E, in verità, non ci trovi nemmeno niente di straordinario. Invece,
in poche pagine, solo alla fine, quando non ti aspetti più alcuna svolta,
arriva ! Il messaggio di speranza è forte e diretto. Ti riguarda personalmente.
Ti parla di un Dio Padre che è sempre avanti a te di qualche passo, ti
anticipa, ti conosce e ti sorprende sempre. Allora capisci perché quella storia
ti parla di speranza: perché ti fa venir voglia di affidarti a Lui, sempre,
anche quando non ti aspetti più niente e credi che nulla ti potrà sollevare
dalle tue umane preoccupazioni. Invece questo accade !
Siamo in buone mani.
Laura
Siamo in buone mani.
Laura
Caro Filippo, ti ringrazio per avermi dato la possibilità di
conoscere questo libro e di poter fare alcune riflessioni importanti. La
lettura, seppur molto agevole, si presta a diversi livelli interpretativi . Innanzitutto
il plot narrativo è un ottimo contenitore per esporre le linee di tensione
verso il nuovo mondo ( l’America, impropriamente chiamata invece di Stati
Uniti), in cui si sono riversate le speranze di milioni di persone ed in particolare
quelle dal sangue di Giuda.
Chiaramente nella narrazione c’è una cesura che è quella tra
la vita dei Singer in Russia e la vita dei Singer negli Stati Uniti. Il
collante fra le due parti è il rapporto tutto spirituale tra Mendel in preda
alla Santa follia e Menuchim reso saggio dalla sofferenza. La foto della
famiglia al momento della partenza per l’America vede un Mendel scettico ma nel
pieno delle sue facoltà e un Menuchim in preda ad una beata ebetudine. La foto
del finale del libro vede Menuchim nel massimo vigore delle sua facoltà fisiche
e spirituali e Mendel privo del senno, pazzo di felicità per l’improvvisa e
provvida svolta del ritrovamento di un figlio creduto prima ebete e poi morto. Tra
queste due foto, tutto il senno e le preghiere di Mendel si sono trasferite nel
figlio, oggetto della profezia del saggio rabbì e delle amorevoli cure di
Deborah, amorevole e pragmatica madre. Il quadro insomma si capovolge. Ma non è questo il solo capovolgimento. L’americano
Sam muore in guerra come soldato volontario; proprio quel destino che aveva
voluto evitare quando era russo e si chiamava Schemaria. Miriam amante in
Russia ed incapace di amore sull’altra sponda dell’Atlantico.
In tutta la vicenda le uniche due persone della famiglia
Singer rimaste integre (Mendel e Menuchim) sono le uniche due figure che non
hanno potuto pronunciarsi sulla decisione di partire per l’America. Il primo perché in preda alle preoccupazioni
per la figlia Miriam e per l’insoddisfazione della moglie Deborah; il secondo perché
impossibilitato dalla malattia.
Tutti quelli che hanno desiderato la partenza sono finiti
nelle grinfie di un destino di sventura dal quale pensavano di essere
definitivamente sfuggiti. In tutto questo la mano Sapiente di Dio, che
imperscrutabile guida la vita di chi si affida a Lui, in sentieri mai scontati,
mai desiderati e tuttavia capaci di compensare quanto il caso sembra voler
togliere. In tutta la vicenda si legge una lieve misoginia nelle figure di
Deborah e Miriam. Infatti la loro vita cessa con le loro mancanze, che poi si
possono riassumere con due vizi capitali: la lussuria e l’avarizia. Quella
stessa madre che aveva sfidato gli eventi avversi pur di ascoltare la sentenza
del rabbì, viola poi quanto egli stesso le prescrive (di restare sempre a
fianco di Menuchim), sfinita da una guarigione che sembra non arrivare mai (la
pazienza che non ha avuto) . La pazienza di Giobbe, in Mendel, viene preservata
solo dalla follia: infatti se avesse avuto ancora un po’ di senno, egli si
sarebbe certamente tolto la vita. Ma Dio ha tollerato anche la sua apostasia,
folle e al tempo stesso lucidissima, fatta di meditazioni tutt’altro che
scontate. Il finale del libro è degno di un vero thriller, che lancia un primo
squillo di tromba, allorquando Mendel si innamora di una canzone di cui saprà
in seguito il titolo (la canzone di Menucim). Ho sperato fino alla fine che il
direttore d’orchestra fosse Menuchim Singer, posso dire che Dio mi ha premiato
con questo finale perché ho avuto la pazienza di crederlo fino alla fine, anche
quando lo stesso Menuchim dissimula la sua identità, assumendo nome e cognome
diversi ed evita infastidito le prime domande sul suo conto. In definitiva il
finale rientra in pieno nella cultura ebraica, un popolo che vive in attesa di
un messia tutto terreno, che restituisca loro quella regalità di popolo perduta
con l’avvento di Cristo. Il popolo ebraico ha mancato l’appuntamento con Gesù
perché voleva un condottiero, e tutt’ora crede di poter avere le sue legittime
aspettative su questa terra. Allo stesso modo anche Mendel, metafora del popolo
ebraico, ha la sua ricompensa su questa terra, dopo indicibili peregrinazioni e
sofferenze, al limite della follia, ma tuttavia mai dimenticato da Dio. Grazie
di cuore .
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