Giovedì 12 Dicembre 2013 ore 21,15
Auditorium comunale
di San Benedetto del Tronto
Carmine Abate
presenta
Il bacio del pane
conversa con l' autore
Filippo Massacci
Il mare che si allontana, scintillante nella calura. La fiumara da risalire, gonfia di pietre luminose, i ruderi dei mulini, il bosco di lecci chiazzato del giallo delle ginestre e infine lo scroscio sempre più intenso: è così che Francesco e i suoi amici scoprono un'oasi di pace presso la cascata refrigerante del Giglietto, sopra il paese di Spillace, in Calabria. Il luglio è afoso, e i bagni nel laghetto, seguiti dai saporitissimi pranzi, sono il diversivo ideale per la piccola comitiva di ragazzi e ragazze nemmeno diciottenni, affamati di vita e di emozioni. Ma quel luogo incantevole cela un mistero: in uno dei mulini abbandonati Francesco e Marta incrociano gli occhi atterriti e insieme fieri di un vagabondo, che si comporta come un uomo braccato, cerca di allontanarli ed è addirittura armato. Ma la curiosità buona dei due ragazzi, gli sguardi leali scambiati nell'ombra, hanno la meglio: e presto l'uomo misterioso rivela qualcosa di sé, della ferita che lo ha condotto a nascondersi... Luglio, agosto, giorni in cui la vampa dell'estate si accompagna ai sapori dei fichi maturi, delle olive in salamoia, del pane preparato in casa con un rito affascinante, sul far del mattino. E poi settembre, l'estate che si va spegnendo, il ritorno alla scuola e alla vita usata, la maggiore età che si avvicina: e con essa la consapevolezza che l'incanto non è nulla senza il coraggio, senza l'impegno che ogni vita adulta richiede. Con freschezza e passione, Carmine Abate dà vita a un intenso romanzo di formazione che si svolge nel tempo di pochi mesi e insieme racconta il senso racchiuso in una vita intera. L'uomo "selvatico" del Giglietto sarà per i protagonisti il testimone più alto della dignità, del rifiuto della prepotenza, della solidarietà che rendono grande ogni esistenza, e restituiscono a ogni luogo la sua bellezza. Valori che si incarnano nel gesto antico e attuale di baciare il pane, per celebrarne il dono e il mistero.
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La mamma era orgogliosa del suo pane. Lo preparava con cura
utilizzando farina di grano duro e pasta madre fermentata naturalmente. Era una delle poche donne del paese che
ancora cuoceva il pane nel forno a legna come ai vecchi tempi e per questa sua
passione veniva criticata pure dalle amiche, che non ne capivano la necessità,
dato che a Spillace c'era un panificio; in compenso riceveva elogi sperticati
dagli intenditori come me e mio padre. «Un pane da resuscitare i morti, non
quella specie di spugna inodore che si compra nei supermercati» diceva mio
padre, e queste parole le ripetei pure io, addentando a occhi chiusi una fetta
ancora calda su cui avevo versato a zig-zag un filo d'olio d'oliva. «Alla
faccia di chi ci vuole male» aggiunsi a bocca piena, «e non apprezza le cose
buone.» «Le apprezza, eccome se le apprezza. Ma la pigrizia è più forte della
volontà. E l'unico lievito che conoscono certe persone è quello dell'invidia,
che le gonfia finché non scoppieranno come cicale alla . fine d'agosto.» La
mamma rise compiaciuta delle sue battute. «Mangia, Francesco, mangia che cresci
sanizzo. E stasera se torni presto ti preparo la pizza ai ciccioli che ti piace
tanto.»
…………………………………
Lo scirocco aveva allentato la morsa dell'afa dopo due
settimane d'inferno, lasciando sulle strade e sui tetti delle case una patina
di sabbia rossa del Sahara. Erano i primi giorni di agosto. Nel cielo senza
rondini il sole sprigionava una luce biancastra che lo rendeva invisibile.
Dalle finestre aperte si diffondeva l'odore dei peperoni fritti e nei giardini
i fichi nivurelli maturavano a vista d'occhio.Era quella l'estate che amavamo, l'estate gonfia di caldo
secco e di promesse. Si continuava a sudare, ma il sudore scivolava via con un
bel tuffo in mare o una doccia fresca; di notte la brezza saliva dalla marina,
si spandeva nella nostra piazzetta e indugiava su di noi carezzandoci il viso,
i capelli e ogni lembo di pelle nuda.
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Ci avvicinammo alla riva e nell'acqua tornata limpidissima
scorgemmo due trote grosse e tre o quattro più piccole. Nuotavano tranquille, per nulla turbate dalla presenza di
Fortunè che ogni
tanto riprendeva ad abbaiare e a tuffarsi senza paura. Sentimmo
la voce dei miei genitori: «Marta, Francì, venite che fra poco si parte». Diedi
un ultimo sguardo alla cascata: l'acqua scrosciava furibonda e di sicuro
gelida. «Ci vediamo alla prossima estate» urlai. Marta, picchiettandosi la
tempia, disse a Fortunè che ero paccio come la cicala della nostra piazzetta.
Poi dalla tovaglia raccolse l'unico pezzo di pane rimasto, gli diede un bacio,
me lo fece baciare, lo appoggiò al muso di Fortunè e lo lanciò alle trote.

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