giovedì 16 gennaio 2014

Proposte di lettura di Leggere 54:
un libro sui libri che abbiamo iniziato a scrivere insieme ………………….
Alceo, Cristina, Elisa, Filippo, Georgia, Martina, Massimiliano, Melissa, Michela, Patty, Pier, Rosina, Rosita, Rossella, Sara,Valeria, Veronica……………

0900 – O Signore, come è meraviglioso il Tuo viso…. di NICOLA CUSANO
0901 – ‘II posto dove stavo meglio’ di SIMONA VINCI
0902 – ‘La muraglia e i libri’ di J.L.BORGES
0903 – ‘Egli desidera il tessuto del cielo’ di W.B.YEATS
0904 - ‘Linea d’ombra’ di JOSEPH CONRAD
0905 – ‘Itaca’ di COSTANTINOS KAVAFIS
0906– ‘Aspettando i Barbari’ di COSTANTINOS KAVAFIS
0907 – ‘Do not go gentle into that good night’ di DYLAN THOMAS
0908 – ‘Non vi lascerò orfani’ di DARIA BIGNARDI
0909 – Poesie di MILAN RUFUS
0910 – ‘L’eredità di Esther’ di SANDOR MARAI
0911 – ‘Cantico delle creature’ di SAN FRANCESCO D’ASSISI
0912 – ‘La memoria salvata’ di PRIMO LEVI
0913 – ‘To My Daughter’ di STEPHEN SPENDER
0914 – La madre
0915 – ‘Domani nella battaglia pensa a me’ di JAVIER MARIAS
0916 – ‘Le livre de ma Mère’ di ALBERT COHEN
0917 – ‘La questione immorale’ di BRUNO TINTI
0918 - Sopra tutti e tutto la luna .. LEOPARDI, FERLINGHETTI, DE SIGNORIBUS
0919 – ‘Persuasion’ di JANE AUSTEN
0920 – ‘Orgoglio e pregiudizio’ di JANE AUSTEN
0921 - ‘L’uomo che credeva di non avere più tempo’ di GUILLAUME MUSSO
0922 – ‘Mille splendidi soli’ di KHALED HOSSEINI
0923 – ‘Shogun’ di JAMES CLAVELL
0924 – ‘L' eleganza del riccio’ di MURIEL BARBERY
0925 – ‘L’Albero delle nebbie’ di UMBERTO PIERSANTI
0926 – ‘Se una notte d’inverno un viaggiatore’ di ITALO CALVINO
0927 - "L´alchimista" di PAULO COELHO
0928 - "L' ultima caccia" di JOE R. LANSDALE e il romanzo di formazione
0929 - "Le torri di New York" di RAFAEL ALBERTI
0930 - "Firmino " di SAM SAVAGE
0931 - " Il signore degli Anelli " di J.R.R. TOLKIEN
0932 - " Le intermittenze della morte " di JOSE’ SARAMAGO
0933 - "Navigando verso Bisanzio" di WILLIAM BUTLER YEATS

0900 – O Signore, com’è meraviglioso il Tuo viso…. di NICOLA CUSANO

Cari amici di Leggere54 faccio a tutti gli auguri di buone feste .

Nell' occasione vi invio un brano di Nicola Cusano , filosofo, astronomo, matematico e cardinale vissuto nel 1400 .

Filippo Massacci

«O Signore, com'è meraviglioso il Tuo viso, il Tuo viso, che un giovane, se cercasse di immaginarlo, concepirebbe come quello di un giovane; un uomo maturo, come quello di un uomo maturo; e un vecchio, come quello di un vecchio! Chi potrebbe immaginare questa unica immagine, la più vera e la più adeguata, di tutti i volti - di tutti e di ciascuno -, questa immagine che è completamente di ognuno perché non è di nessuno? Bisognerebbe andare oltre tutte le forme di viso e tutte le figure possibili. Ma come immaginare un viso quando si debba andare oltre tutti i volti, tutte le sembianze, tutte le figure e tutti i concetti che possono darsi di un volto, e tutti i colori, ornamenti e bellezze di tutti i visi? Quindi chiunque contempli il Tuo viso, se ne forma un concetto, è lontano dal Tuo volto. Perché tutti i concetti di viso sono insufficienti, o Signore, per il Tuo volto, e tutte le bellezze che possano essere concepite sono inferiori alla bellezza stessa, mentre il Tuo viso, o Signore, ha una bellezza che è anche la bellezza di sé. Esso è pertanto Bellezza Assoluta, che è ciò che dà forma ad ogni forma bella. O viso straordinariamente bello, la cui bellezza non si stancano mai di ammirare tutti coloro cui sia stato consentito di contemplarla! In ogni volto si vede il Viso dei visi, velato ed enigmatico; esso non può essere visto senza veli finché non si entri in un certo silenzio segreto e mistico in cui non vi sia né conoscenza né concetto di viso. Questa nebbia, nuvola, oscurità o ignoranza, in cui colui che cerca la Tua faccia entra quando va al di là di ogni conoscenza o concetto è lo stato al di sotto del quale il Tuo viso non può essere visto che velato; ma proprio quell'oscurità rivela che il Tuo viso è là, oltre ogni velo.>>


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0901 – ‘II posto dove stavo meglio’ di SIMONA VINCI

Cari amici,

vi invio un brano che ho scoperto, per caso, di una scrittrice che non conosco, che ve ne pare? Avete mai letto qualcosa di lei?

Buone letture

Filippo Massacci


SIMONA VINCI
II posto dove stavo meglio
Forse la prima volta mi ci ha portata qualcuno. Dove¬va essere mia madre. Mi ci ha certamente accompagnata tenendomi per mano, come si fa sempre con i bambini quando si cammina in posti sconosciuti: si tiene stretto il piccolo palmo sudato, si guida il loro passo con spinte im¬percettibili. Non riesco a ricordarmela, però, quella pri¬ma volta. Devo essermi stancata in fretta della guida, non avevo bisogno di nessuno a indicarmi la strada, capacissi¬ma di fare da me. Già a cinque anni sapevo da che parte andare, se veloce o lenta, quando saltare e quando fer¬marmi a prendere fiato per non stancarmi troppo presto. Nei miei ricordi più lontani, in questo posto sono da so¬la. Dritta nella minuscola statura dei miei quattro anni, oppure accoccolata stretta come un pugno, seduta a gam¬be incrociate, o distesa su un fianco. Abbagliata dalla lu¬ce, incantata dalle ombre, deliziata dai passaggi, spaven¬tata dai labirinti, incuriosita dai movimenti. Ricordo le mie dita strette, gli occhi spalancati, la bocca semiaperta e lo sforzo di collegare ogni elemento. Felicità pura. Spa¬vento. Consolazione e fuga. Quel posto era sempre lo stes¬so, eppure cambiava, ogni volta aggiungevo nuovi ele¬menti, nuovi dettagli. Eppure la sua luce era sempre la stessa, una luce bianca con riflessi gialli, evanescente, opa¬lescente, color luna piena. E le ombre erano nette, ombre minuscole, appuntite, conficcate come lance. Ci si pote¬va mangiare come su un piatto, impiastricciarlo di bricio¬le e marmellata, calpestarlo, strapparlo, disegnarci caset¬te e fiorellini, addormentarcisi sopra. Era un posto con pochi colori, eppure li evocava tutti. Era pieno di suoni strani, di versi di animali, di note musicali. C'erano voci che cantavano e voci che sbraitavano. Potevo andarci ogni giorno, e ogni notte, e la sua luce era sempre la stessa, Po¬tevo condividerlo con qualcuno o starci da sola senza ave¬re nessuna paura. Mi ha sempre accolta, mai una volta che mi abbia fatta sentire di troppo, inadeguata, incapace, pic¬cola e scema come facevano - come fanno - tutti quanti gli altri. Era il posto dove stavo meglio, l'unico che non mi ha mai tradita.

La pagina di un libro.

La pagina di ogni libro.

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0902 – ‘La muraglia e i libri’ di J.L.BORGES
Questa volta vi propongo un racconto che ho letto tanto tempo fa .
Curiosando nella mia biblioteca mi è capitata tra le mani un libro di poesie e racconti di Borges , un pò ingiallito dal tempo, avrà almeno trentanni, l'ho aperto a caso e .......... che ne pensate ?
Buone letture
Filippo Massacci
Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo ( Bueno Aires , 24 Agosto 1899 - Ginevra , 14 Giugno 1986 ) è stato uno scrittore e poeta argentino. È ritenuto uno dei più importanti e influenti scrittori del XX secolo .............
non vi dico altro se avrete voglia non vi mancherà modo di approfondire.
Prima del racconto vi propongo una sua frase che accenna ad uno dei grandi temi della sua poetica:
« Tu che mi leggi, sei sicuro d'intendere la mia lingua? »
(La biblioteca di Babele)

LA MURAGLIA E I LIBRI
He, whose long wall the wand'rìng Tartar bounds …
DUNCIAD, II, 76.

Ho letto, giorni fa, che l'uomo che ordinò la costruzione della quasi infinita muraglia
Cinese fu quel primo Imperatore, Shih Huang Ti, il quale parimenti dispose che
venissero bruciati tutti i libri precedentemente scrit¬ti. Il fatto che le due vaste operazioni
— le cinquecento, seicento leghe di pietra contrapposte ai barbari, la rigo¬rosa abolizione
della storia, cioè del passato — procedes¬sero da una singola persona e fossero in qualche
modo i suoi attributi, inspiegabilmente mi ha soddisfatto e in¬sieme mi ha turbato. Indagare
le ragioni di quest'emo¬zione è lo scopo di questa nota.
Storicamente, non c'è mistero nei due provvedi¬menti. Contemporaneo delle guerre
di Annìbale, Shih Huang Ti, re di Tsìn, ridusse in suo potere i Sei Regni e cancellò
il sistema feudale; innalzò la muraglia, perché le muraglie erano una difesa; bruciò
i libri, perché l'op¬posizione li invocava per lodare i vecchi imperatori. Bruciare libri
ed erigere fortificazioni sono cautele co¬muni fra i principi; la sola singolarità di
Shih Huang Ti fu la scala su cui operò. Così fanno intendere alcuni sino¬logi, ma io
sento che i fatti che ho riferito sono qualcosa dì più di un'esagerazione o un'iperbole
di provvedimen¬ti banali. Recintare un orto o un giardino è comune; re¬cintare un impero,
no. Neppure è un'inezia pretendere che la più tradizionalista delle razze rinunci alla
me¬moria del suo passato, mitico o vero. Tremila anni di cronologia possedevano i cinesi
(e in quegli anni, l'Imperatore Giallo e Chuang Tse e Confucio e Lao Tse), quando
Shih Huang Ti ordinò che la storia comincias¬se con lui. Shih Huang Ti aveva esiliato
sua madre perché li¬bertina; nella sua dura giustizia, gli ortodossi non vide¬ro altro che
un'empietà; Shih Huang Ti, forse, volle cancellare i libri canonici .perché questi lo
accusavano; Shih Huang Ti, forse, volle abolire tutto il passato per abolire un solo ricordo:
la famiglia di sua madre. (Non diversamente un re, in Giudea, fece uccidere tutti i bam¬bini
per ucciderne uno). Questa congettura è attendibi¬le, ma non ci dice nulla della muraglia,
della seconda faccia del mito. Shih Huang Ti, secondo gli storici, vie¬tò che la morte fosse
menzionata e cercò l'elisir dell'im¬mortalità e si isolò in un palazzo figurativo, che aveva tante
stanze quanti sono i giorni dell'anno; questi dati suggeriscono che la muraglia nello spazio
e l'incendio nel tempo fossero barriere magiche destinate a fermare la morte. Tutte le cose
vogliono persistere nel loro esse¬re, ha scritto Baruch Spinoza; forse l'Imperatore e i suoi
maghi credettero che l'immortalità è intrinseca e che la corruzione non può entrare in un orbe
chiuso. Forse l'Imperatore volle ricreare il principio del tempo e si chiamò Primo, per essere
realmente il primo, e si chiamò Huang Ti, per essere in qualche modo Huang Ti, il leggendario
imperatore che inventò la scrittura e la bus¬sola. Costui, secondo il Libro dei Riti, diede alle
cose il loro vero nome; similmente Shih Huang Ti si vantò, in iscrizioni che durano, del fatto
che tutte le cose, sotto il suo impero, avessero il nome che loro conviene. Sognò di fondare
una dinastia immortale; ordinò che i suoi eredi si chiamassero Secondo Imperatore, Terzo
Imperatore, Quarto Imperatore, e così fino all'infinito... Ho parlato dì uno scopo magico;
si potrebbe anche sup¬porre che erigere la muraglia e bruciare i libri non siano stati atti simultanei.
Questo (secondo l'ordine che sce¬gliamo) ci darebbe l'immagine di un re che cominciò col distruggere e poi sì rassegnò a conservare, o quella di un re deluso che distrusse quel che prima difendeva.
Queste due congetture sono drammatiche, ma mancano, che io sappia, di base storica.
Herbert Allen Giles racconta che coloro che nascosero libri furono segnati con un ferro
incandescente e condannati a costruire, fino al giorno della morte, la smisurata muraglia.
Questa notizia favo¬risce o tollera un'altra interpretazione. Forse la muraglia fu una metafora,
forse Shih Huang Ti condannò coloro che adoravano il passato a un'opera altrettanto vasta
quanto il passato, altrettanto goffa e altrettanto utile. Forse la muraglia fu una sfida e Shih Huang Ti
pensò: "Gli uomini amano il passato e contro questo amore non posso fare niente, e nemmeno
i miei carnefici, ma un giorno ci sarà un uomo che sentirà come me, e lui di¬struggerà la mia muraglia, come io ho distrutto Ì libri, e cancellerà il mio ricordo e sarà la mia ombra e il mio specchio e non lo saprà". Forse Shih Huang Ti murò l'impero perché sapeva
che era fragile e distrusse i libri perché sapeva che erano libri sacri, cioè libri che inse¬gnano ciò
che insegna l'universo intero o la coscienza di ciascun uomo. Forse l'incendio delle biblioteche
e la co¬struzione della muraglia sono operazioni che segreta¬mente si annullano.
La muraglia tenace che in questo momento, e in tut¬ti, proietta sopra terre che non
vedrò il suo sistema dì ombre, è l'ombra di un Cesare che ordinò che la più riverente
delle nazioni bruciasse il proprio passato; è verosimile che l'idea ci colpisca in se stessa,
al di fuori delle congetture che essa permette. (La sua virtù può derivare dall'opposizione
tra costruire e distruggere, in scala enorme). Generalizzando il caso precedente, po¬tremmo
inferire che tutte le forme hanno la loro virtù in se stesse e non in un "contenuto" congetturale.
Questo s'accorderebbe alla tesi di Benedetto Croce; già Pater, nel 1877 affermò che tutte
le arti aspirano alla condi¬zione della musica, che non è altro che forma. La musi¬ca,
gli stati dì felicità, la mitologia, le facce travagliate dal tempo, certi crepuscoli e certi luoghi,
vogliono dirci qualcosa, o hanno detto qualcosa che non avremmo do¬vuto perdere, o stanno
per dire qualcosa; questa immi¬nenza di una rivelazione, che non si produce, è, forse, il fatto estetico. J.L.Borges - Buenos Aires, 1950.
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0903 – ‘Egli desidera il tessuto del cielo’ di W.B.YEATS
Vi propongo un poeta, in questo sabato 14 febbraio San Valentino, che parla spesso
dell' amore . Un poeta magico e speciale W.B. Yeats.
" nei suoi versi si risolve l' antinomia fra astrazione di pensiero e realtà concreta "
" la poesia di Yeats ci rende la figura intera dell' uomo, il suo costante tormento dovuto alla coscienza della sua inadeguatezza, e insieme la sua gioia di vivere appunto in questa condizione imperfetta"
( Giorgio Melchiorri - WBY quaranta poesie Einaudi )
Yeats è sepolto a Sligo nel nord dell' Irlanda sotto la collina di Ben Bullen.. Sulla sua tomba c'e' incisa una frase che chiude il poema " Sotto il Ben Bulben " nel quale Yeats indica dove dovrà essere sepolto .
" cast a cold eye on life , on death . Horseman, pass by !"
" getta uno sguardo freddo sulla vita, sulla morte . Cavaliere, prosegui !
Lì vicino, Maeve regina guerriera del Connacht , sepolta sotto il tumulo eretto sulla cima della collina di Knocknarea vigila sulla piana di Sligo. Dovete salire i 300 metri della collina e i 10 metri del tumulo e girare lo sguardo tutt' attorno mentre il vento gelido dell' oceano ti entra nelle ossa, per capire la magia di quel luogo.
L'inquitudine di lei ( Her axiety ), Quando tu sarai vecchia, Innishfree l' isola sul lago, La maschera, Bianchi uccelli, Gli uomini migliorano con gli anni , sono solo alcuni titoli di sue poesie. Ma, vi invito a leggerle tutte. Se volete fare o farvi un bel regalo prendete l' edizione delle opere nei Meridiani, altrimenti scegliete voi.
Solo per il piacere di darvi un' idea della sua poesia ve ne mando una: non è la più bella (ovviamente tutto è soggettivo ) ma è quella a me più cara. E' una riflessione sull' amore , intendo quello universale, quello che da sapore alla vita e può esistere solo nel rispetto dell'altro delle sue emozioni e della sua storia .

Egli desidera il tessuto del cielo
"Se avessi il drappo ricamato del cielo,
Intessuto dell'oro e dell'argento e della luce,
I drappi dai colori chiari e scuri del giorno e della notte
Dai mezzi colori dell'alba e del tramonto,
Stenderei quei drappi sotto i tuoi piedi:
Invece, essendo povero, ho soltanto sogni;
E i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi;
Cammina leggera, perché cammini sui miei sogni."

He Wishes for the Cloths of Heaven
"Had I the heaven's embroidered cloths
Enwrought with golden and silver light
The blue and the dim and the dark cloths
Of night and light and the half-light,
I would spread the cloths under your feet:
But I, being poor, have only my dreams;
I have spread my dreams under your feet;
Tread softly because you tread on my dreams"

William Butler Yeats

buone letture e buon San Valentino, a chi ha trovato l' amore e a chi lo troverà
Filippo Massacci

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0904 - ‘Linea d’ombra’ di JOSEPH CONRAD

Joseph Conrad, pseudonimo di Józef Teodor Nałęcz Konrad Korzeniowski (Berdicev, 3 dicembre 1857 – Bishopsboume, 3 agosto 1924), è stato uno scrittore polacco naturalizzato britannico.
Considerato uno dei maggiori scrittori moderni, è stato capace - grazie a un ricchissimo linguaggio (e nonostante la lingua inglese fosse la sua terza lingua, dopo quella polacca e quella francese) - di ricreare in maniera magistrale atmosfere esotiche e riflettere i dubbi dell'animo umano nel confronto con terre selvagge.
Il suo stile narrativo e i suoi personaggi anti-eroici hanno influenzato molti scrittori, tra cui Ernest Hemingway, David Herbert Lawrence, Graham Greene, William S. Burroughs, Joseph Heller, V.S. Naipaul e John Maxwell Coetzee.
Ha ispirato inoltre diversi film, tra cui Apocalypse Now (tratto dal romanzo Cuore di tenebra)

( Wikipedia )


Aggiungo uno straordinario “ I duellanti “ con Harvey Keytel e Keith Carradine di Ridley Scott ,
Lord Jim di Richard Brooks con un travagliato e inquietante Peter O’Toole.


Conrad è stato marinaio e comandante di navi e la maggior parte dei suoi romanzi risente di questa esperienza.
Il romanzo di Conrad che vi propongo è Linea d’ ombra se vi andrà di leggerlo vi suggerisco di cercare un’ edizione bilingue, quella che io conosco e dell’ Einaudi.


Qualche tempo fa mi è capitato di citare Conrad scrivendo ad un’ amica .

“ quella “ linea d’ombra “, - consentimi questa citazione da Conrad, che è il passaggio, in questo caso, tra l’adolescenza e l’ età adulta, ma vale per il divenire stesso della vita - , quella malinconia e quel senso di rimpianto delle cose possibili e non fatte, dei desideri non realizzati , la voglia di essere noi i protagonisti della nostra vita e quella voglia di resurrezione che ci fa sperare di poter essere eternamente diversi “

chissà se , dopo aver letto questo romanzo , qualcuno di voi proverà le stesse emozioni
oppure no …..

Preparatevi a navigare dentro di voi e buone letture

Filippo Massacci

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Solo i giovani hanno di questi momenti. Non intendo dire i giovanissimi.
No. I giovanissimi, per essere esatti, non hanno momenti.
È privilegio della prima gioventù vi¬vere in anticipo sui propri giorni, nella bella
continuità di speranze che non conosce pause né introspezione.
Uno chiude dietro di sé il cancelletto della fanciullezza ed entra in un giardino incantato.
Là persino le ombre rilucono di promesse.
Ogni svolta del sentiero ha un suo fascino. E non perché sia una terra tutta da scoprire.
Si sa bene che l'umanità intera l'ha percorsa in folla. È la sedu¬zione dell'esperienza
universale, da cui ci si attende una sensazione singolare o personale: un po' di
se stessi.Si procede riconoscendo i traguardi raggiunti dai no¬stri predecessori,
eccitati e divertiti, accettando la buona e la cattiva fortuna insieme - le rose e le spine,
come si dice - la variopinta sorte comune che tiene in serbo tante pos¬sibilità per
chi le merita o, forse, per chi è fortunato. Sì. Si procede. E il tempo pure procede –
finché si scorge di fronte a sé una linea d'ombra, che ci avverte che bisogna lasciare
alle spalle anche la regione della prima gioventù. È il periodo della vita in cui possono
capitare di quei momenti cui ho accennato. Che momenti?
Ebbene, mo¬menti di tedio, di stanchezza, di scontento. Momenti di ir¬riflessione.
Parlo dei momenti ..............

……………...Ma un comando è un concetto astratto, e sembrava una sorta
di «prodigio mi¬nore», finché mi balenò il pensiero che esso implicava l'e¬sistenza concreta
di una nave.
Una nave! La mia nave! Mia, un possesso più assoluto, una più assoluta cura di
qualsiasi altra cosa al mondo; un oggetto di responsabilità e di devozione.
Era là che mi aspettava, fino al mio arrivo preda di un sortilegio, incapa¬ce di muoversi,
di vivere, di uscire nel mondo, come una principessa stregata. Il suo richiamo era giunto
a me come dal ciclo. Non ne avevo mai sospettato l'esistenza. Non sa¬pevo che aspetto
avesse, ne avevo udito appena il nome eppure eravamo indissolubilmente
uniti per una parte del nostro futuro, per navigare o naufragare insieme.
Un improvviso impeto di ansiosa impazienza mi corse per le vene, e mi diede una
sensazione così forte dell'in¬tensità dell'esistenza, quale non ho mai provato né prima
né dopo.
Scoprii quanto ero marinaio, nel cuore, nella mente e ……………..
un uomo che appar¬teneva al mare …………..

…………..Dopo il tramonto salii ancora una volta sul ponte, e vi trovai soltanto un
vuoto silenzioso. La sottile, indefinita crosta della terra non si distingueva più.
Le tenebre si era¬no levate intorno alla nave come un'emanazione misterio¬sa dalle acque
tacite e solitarie. Mi appoggiai alla batta¬gliola e tesi l'orecchio alle ombre della notte.
Non un suo¬no. La mia nave avrebbe potuto essere un pianeta in verti¬ginoso volo lungo
la sua orbita prefissata, in uno spazio di infinito silenzio. Mi afferrai alla battagliola
come se il sen¬so dell'equilibrio mi sfuggisse definitivamente.
Che assur¬dità. Chiamai nervosamente.
Ohe, in coperta! ………………………………………

……………….Credevo che tutte le mie sensazioni si fossero ottene¬brate in una
completa indifferenza. Invece, a stare sul ponte sperimentai una tensione
ancora più forte. L'oscurità impenetrabile assediava così dappresso la nave
che, a stender la mano fuori bordo, pareva di poter toccare una materia arcana.
L'impressione che ne derivava era di ter¬rore inconcepibile, e di indicibile
mistero. Le poche stelle sul nostro capo diffondevano una fievole luce
soltanto sulla nave, senza alcun riflesso sull'acqua, lanciando raggi isolati attraverso
un'atmosfera trasformata in fuliggine. Era qualcosa che non avevo
mai visto prima, che non of¬friva indizio alcuno da quale direzione sarebbe venuto
un cambiamento, qualsiasi fosse; una minaccia che si appros¬simava da ogni lato.
Ancora non c'era nessuno al timone. L'immobilità di ogni cosa era assoluta.
Come l'aria si era fatta nera, il ma¬re, per quanto ne sapevo, avrebbe potuto esser
diventato solido. Era inutile guardarsi in giro, cercando di cogliere un segno,
di valutare quanto fosse prossimo il momento. Quando fosse giunta l'ora,
l'oscurità avrebbe sopraffatto silenziosamente quel poco di chiarore stellare
che cadeva sulla nave, e la fine di tutto sarebbe giunta senza un sospi¬ro, senza un fremito
o mormorio di qualsiasi sorta, e tutti i nostri cuori avrebbero cessato di battere,
come orologi senza più carica. Era impossibile scrollarsi di dosso quella sensazione
di fine inappellabile. La quiete che mi invase aveva già il sa¬pore dell'annientamento.
Mi diede una sorta di conforto, come se la mia anima si fosse d'un tratto riconciliata
con un'eternità di cieca inerzia. Nel mio dissolvimento morale sopravviveva integro sol¬tanto
l'istinto dell'uomo di mare. Scesi per la scaletta sul cassero. Prima di raggiungerlo
il lume delle stelle sembrò spegnersi, ma quando chiesi piano: - Gente, ci siete? –
i miei occhi colsero delle forme scure che si levavano tutto intorno a me,
assai poche, assai indistinte; e una voce parlò : -Tutti qui, capitano - ………………



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0905 – ‘Itaca’ di COSTANTINOS KAVAFIS

Qualche tempo fà un' amica di Leggere54 mi ha parlato di questo poeta e mi ha consigliato di leggere questa poesia.Che ne dite ?

Saluti e buone letture
Filippo Massacci

Itaca
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere d'incontri
se il pensiero resta alto e il sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga
che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche aromi
penetranti d'ogni sorta, più aromi
inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca
- raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo,per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.

Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos'altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Costantinos Kavafis poeta e giornalista greco Alessandria d'Egitto 29.04.1863-29.04.1933
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0906– ‘Aspettando i Barbari’ di COSTANTINOS KAVAFIS
Ora ecco quello che ci ha scritto Cristina:
La poesia “Itaca” di Costantinos Kavafis è una delle mie poesie preferite in assoluto e mi permetto di riportarne di seguito una traduzione a mio parere più bella e musicale tratta dall’edizione che ho di una raccolta dell’autore ( Oscar Mondadori a cura di Filippo Maria Pontani ).

ITACA
Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
fa voti che ti sia lunga la via,
e colma di vicende e conoscenze.
Non temere i Lestrìgoni e i Ciclopi
o Posidone incollerito: mai
troverai tali mostri sulla via,
se resta il tuo pensiero alto, e squisita
è l’emozione che ti tocca il cuore
e il corpo. Né Lestrigoni o Ciclopi
né Posidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
se non li drizza il cuore innanzi a te.

Fa voti che ti sia lunga la via.
E siano tanti i mattini d’estate
che ti vedano entrare ( e con che gioia
allegra ! ) in porti sconosciuti prima.
Fa scalo negli empori dei Fenici
Per acquistare bella mercanzia,
madrepore e coralli, ebani e ambre,
voluttuosi aromi d’ogni sorta,
quanti più puoi voluttuosi aromi.
Rècati in molte città dell’Egitto,
a imparare imparare dai sapienti.

Itaca tieni sempre nella mente.
La tua sorte ti segna quell’approdo.
Ma non precipitare il tuo viaggio.
Meglio che duri molti anni, che vecchio
tu finalmente attracchi all’isoletta,
ricco di quanto guadagnasti in via,
senza aspettare che ti dia ricchezze.
Itaca t’ha donato il bel viaggio.
Senza di lei non ti mettevi in via.
Nulla ha da darti più.

E se la trovi povera, Itaca non t’ha illuso.
Reduce così saggio, così esperto,
avrai capito che vuol dire un’Itaca.
La poesia che sembra narrare di un arrivo, quello alla piccola Itaca, narra invece dell’importanza del viaggio. Del viaggio per il viaggio o come cantò meglio Fabrizio De Andrè in Khorakhanè ( A forza di essere vento) “ Per la stessa ragione del viaggio: viaggiare “. Quello che si descrive inoltre non credo sia solo un viaggio reale, verso un luogo fisico, ma credo sia il viaggio dell’uomo verso la meta che si è prefissato. Mi emoziona perché il messaggio che passa, leggendola, è fortemente positivo: parla di conoscenza ( “ Rècati in molte città dell’Egitto, a imparare imparare dai sapienti ”), dell’importanza della scoperta ( “E siano tanti i mattini d’estate che ti vedano entrare in porti sconosciuti prima ) ma soprattutto del fatto che dobbiamo migliorarci sempre mentre passiamo attraverso le cose della vita. Ci invita a non lasciarci scivolare addosso incontri e bellezze perché ci condurranno alla saggezza e all’esperienza.
La parte della poesia che amo di più è la seguente:
Non temere i Lestrìgoni e i Ciclopi
o Posidone incollerito: mai
troverai tali mostri sulla via,
se resta il tuo pensiero alto, e squisita
è l’emozione che ti tocca il cuore
e il corpo. Né Lestrigoni o Ciclopi
né Posidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
se non li drizza il cuore innanzi a te..
Ci dice che le paure che alcune volte ci frenano e impediscono di affrontare la vita come vorremmo e la cui esistenza crediamo sia al di fuori di noi, nella società ad esempio, sono mostri che vivono invece nel nostro cuore, trovo vibrante l’espressione “ se non li drizza il cuore innanzi a te” perché dà il senso di qualcosa che ci si para davanti e ci impedisce di vedere e andare oltre. Chi non ha mai affrontato un momento così?
La prima persona che mi ha letto una poesia di Kavafis è stato, all’Università, un professore di Storia dell’Arte Contemporanea, aprì un libro e lesse ad una classe attenta ( le sue lezioni erano sempre davvero interessanti e ricche di spunti) “ Aspettando i barbari ”.
Sarò sempre grata al mio professore per avermi fatto conoscere questo poeta e per molte altre cose più strettamente attinenti all’insegnamento della sua materia come ad esempio averci portato a vedere una straordinaria mostra di Amedeo Modigliani ma questa è un’altra storia... Aspettando i barbari è una poesia importante che in qualche modo parla della nostra società e della nostra politica e della politica anche di tutti quei paesi che individuano un nemico esterno da combattere per nascondere e non affrontare le problematiche interne. Meglio ancora parla di tutti noi che alcune volte deleghiamo agli altri o speriamo risolvano gli altri ciò che invece concerne la nostra responsabilità individuale. E’ una poesia moderna, attuale.


ASPETTANDO I BARBARI
Che aspettiamo, raccolti nella piazza?
Oggi arrivano i barbari.
Perché mai tanta inerzia in Senato?
E perché i senatori siedono e non fan leggi?
Oggi arrivano i barbari.
Che leggi devon fare i senatori?
Quando verranno le faranno i barbari.
Perché l’imperatore s’è levato
Così per tempo e sta, solenne, in trono,
alla porta maggiore, incoronato?
Oggi arrivano i barbari.
L’imperatore aspetta di ricevere
Il loro capo. E anzi ha già disposto
L’offerta di una pergamena. E là
Gli ha scritto molti titoli ed epiteti..
Perché i nostri due consoli e i pretori
Sono usciti stamani in toga rossa?
Perché i bracciali con tante ametiste,
gli anelli con gli splendidi smeraldi luccicanti?
perché brandire le preziose mazze
Coi belli ceselli tutti d’oro e argento?
Oggi arrivano i barbari
E questa roba fa impressione ai barbari.
Perché i valenti oratori non vengono
a snocciolare i loro discorsi, come sempre?
Oggi arrivano i barbari:
sdegnano la retorica e le arringhe.
Perché d’un tratto questo smarrimento
Ansioso? ( I volti come si son fatti seri!)
Perché rapidamente e strade e piazze
si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi?
S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti.
Taluni sono giunti dai confini,
han detto che di barbari non ce ne sono più.
E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente.

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Do not go gentle into that good night’ di DYLAN THOMAS
Anche questa settimana continuiamo con le proposte di lettura che ci inviate.
Ho letto poche cose di Dylan Thomas ma questo suggerimento , che ha inviato Veronica C. , mi ha colpito e sarà anche per me, come spero per voi, motivo di riflessione .

DO NOT GO GENTLE INTO THAT GOOD NIGHT
Dylan Thomas
Do not go gentle into that good night,
Old age should burn and rave at close of day;
Rage, rage against the dying of the light.
Though wise men at their end know dark is right,
Because their words had forked no lightning they
Do not go gentle into that good night.
Good men, the last wave by, crying how bright
Their frail deeds might have danced in a green bay,
Rage, rage against the dying of the light.
Wild men who caught and sang the sun in flight,
And learn, too late, they grieved it on its way,
Do not go gentle into that good night.
Grave men, near death, who see with blinding sight
Blind eyes could blaze like meteors and be gay,
Rage, rage against the dying of the light.
And you, my father, there on the sad height,
Curse, bless me now with your fierce tears, I pray.
Do not go gentle into that good night.
Rage, rage against the dying of the light.

Non andartene docile in quella buona notte,
la vecchiaia dovrebbe ardere e infierire
quando cade il giorno;
inveisci, inveisci contro il morire della luce.
Benché i saggi sappiano infine che il buio è giusto,
poiché dalle loro parole non diramò alcun conforto,
non se ne vanno docili in quella buona notte.
I buoni, che in preda all’ultima onda
splendide proclamano le loro fioche imprese
avrebbero potuto danzare in una verde baia,
e inveiscono, inveiscono contro il morire della luce.
I selvaggi, che il sole al volo presero e cantarono trionfanti,
e troppo tardi apprendono come lo lasciarono scappare lungo la sua via,
non se ne vanno docili in quella buona notte.
Gli austeri, vicini a morte, con cieca vista scorgono
che i ciechi occhi quali meteore potrebbero brillare
ed essere gai; e inveiscono
inveiscono contro il morire della luce.
E tu, padre mio, là sulla triste altura, io prego,
maledicimi, benedicimi con le tue fiere lacrime.
Non andartene docile in quella buona notte,
inveisci, inveisci contro il morire della luce.

Dylan Marlais Thomas nasce a Swansea (Galles), il 27 ottobre 1914, e muore il 9 novembre 1953. È stato poeta, scrittore e drammaturgo. Tra le altre cose, scrisse anche un dramma teatrale dal titolo Under milk wood, la cui versione radiofonica, in cui recitava Thomas stesso, vinse il Prix Italia nel 1954.
Si dice che Robert Allen Zimmerman si ispirò a Dylan Thomas quando adottò il nome d'arte Bob Dylan, nel 1961.
Nel 1986 lo scrittore Tiziano Sclavi diede il nome di Dylan Dog al personaggio dei suoi fumetti, in ricordo del poeta gallese.
Do not go gentle into that good night è una villanelle, in cui compare un ritornello (Do not go gentle into that good night e Rage, rage against the dying of the light) che forma anche il distico finale, e due soli suoni che rimano alla fine di ciascun verso (-ight e -ay). L’effetto della concatenazione di parole in prevalenza monosillabiche, delle numerose allitterazioni e delle ripetizioni è estremamente musicale. In effetti, Do not go gentle into that good night è stata trasposta in musica e cantata da diversi artisti, più o meno famosi, tra cui Igor Stravinsky, il quale compose, nel 1954, il pezzo "In memoriam Dylan Thomas" che includeva anche questa poesia .
Composta nel 1951, Do not go gentle into that good night fu inviata da Thomas alla principessa Caetani, che aveva conosciuto a Roma. In un poscritto precisava: “La sola persona alla quale non posso far leggere la poesia è, naturalmente, mio padre, il quale non sa che sta morendo”. La principessa pubblicò alcune delle poesie più belle di Thomas nella rivista Botteghe Oscure, tra le quali Do not go gentle into that good night nel 1951.
Dallo studio fatto in gioventù – forse superficiale – di questa splendida poesia, ne ho ricavato un senso che ha a che fare con l’amore per il proprio padre, e la rabbia che ci scatena l’inevitabilità della morte, che ce lo porta via.
A distanza di anni, decido di rileggere questo capolavoro per cercarvi un senso più profondo e scopro che, non forse, ma sicuramente la mia iniziale interpretazione era stata superficiale.
Questa poesia è innanzitutto un’esortazione a non arrendersi facilmente alla morte, ma a lottare contro di essa, fino alla fine, “lottare fino all’ultimo rantolo”, come anche Shakespeare esorta a fare in Henry VI (“Fight till the last gasp”)..
Thomas quindi cerca di convincere suo padre, che era stato un uomo forte, avendo anche combattuto nell’esercito, ma indebolito ormai dalla vecchiaia, a reagire contro una morte imminente.
In realtà, come ho già anticipato sopra, è stato storicamente provato che Thomas non mostrò mai tale poesia a suo padre, quindi forse l’esortazione a combattere la morte non va circoscritta alla singola figura di suo padre, ma allargata all’intera umanità, accomunata dalla stessa sorte.
Tuttavia, tale esortazione, servirebbe a dare una speranza, un conforto a chi rimane, piuttosto che a chi è ormai evidentemente destinato ad andarsene.
Si tratterebbe, in tal senso, di una sorta di volontà di esorcizzare la paura della morte: proprio poiché Thomas riconosce che tra la vita e la morte c’è una sottilissima separazione, sente il bisogno di affermare con forza la differenza tra le due . Il contrasto tra vita e morte viene enfatizzato da Thomas in ogni singola strofa grazie al contrasto tra parole dal tono dolce e melodioso e parole dal tono duro.
Quando nell’ultima strofa si rivolge a suo padre dicendogli “Curse, bless me now with your fierce tears, I pray”, gli sta chiedendo di maledirlo, perché se riuscirà a farlo, sarà per lui una benedizione, al contrario, una dimostrazione che in suo padre vi è ancora passione, spirito, volontà di reagire, di combattere.

Una curiosità: nel film Independence Day del 1996, dopo l’invasione aliena, il personaggio che interpreta il presidente degli Stati Uniti, nel suo discorso all’umanità, parafrasa il ritornello della poesia di Thomas: “We are fighting for our right to live. To exist. And should we win the day, the Fourth of July will no longer be known as an American holiday, but as the day the world declared in one voice: We will not go quietly into the night! We will not vanish without a fight! We’re going to live on! We’re going to survive! Today we celebrate our Independence Day!”
Tornando ad analizzare la poesia, nella seconda strofa Thomas parla di “wise men”, gli uomini saggi, i filosofi, che infieriscono contro la morte perché non vivono abbastanza per vedere le loro teorie riscuotere successo, cambiare il mondo e renderli immortali.
Nella terza strofa Thomas parla di “good men”, coloro che passano la vita a fare del bene, e che dunque infieriscono contro la morte perché si rendono conto che avrebbero potuto fare di più.
Nella quarta strofa Thomas parla di “wild men”, uomini che hanno avuto il loro momento di gloria, ma che troppo tardi si rendono conto di non aver saputo cogliere ciò che quel momento offriva loro, e per questo essi si ribellano contro la morte.
Nella quinta strofa Thomas parla di “grave men”, uomini austeri e riflessivi, che comprendono la morte e vivono con il peso di tale comprensione, ma anch’essi non per questo sono disposti ad accettarla. L’ossimoro della “vista accecante” (blinding sight) dà l’idea che nonostante la vista di un uomo morente si indebolisca, egli riesce in realtà a vedere la luce dentro di sé, a vedere finalmente la verità, il senso di tutte le cose.
Insomma, per Thomas non ha importanza che un uomo sia vissuto da saggio, buono, selvaggio, o austero, l’importante è che chiunque combatta contro la morte che si avvicina.

Sembra incredibile che un uomo che scrive una poesia di una simile potenza, a difesa della vita, sia morto all’età di 39 anni per uso eccessivo di alcool. Oppure qualcuno potrebbe obiettare, e dire che in fondo lui abbia scelto di vivere al massimo i suoi pochi anni di vita(è ben nota la sua vita di grande dissolutezza, fatta di sperperi e di alcolismo, che spinse la sua famiglia sull'orlo della povertà)?
Probabilmente, quello era il suo personale modo di inveire contro il morire della luce, o contro una piatta normalità, che egli sembra deprecare in ogni singola strofa.

Trovo che, soprattutto nel clima in cui stiamo vivendo, in tempi di testamento biologico, questa poesia possa offrire una serie di spunti di riflessione… ma a questo punto non voglio andare oltre.. lascio a ognuno di voi tirare le proprie personalissime conclusioni.

Piuttosto, preferisco lasciarvi con un’altra poesia di Thomas:
And death shall have no dominion
And death shall have no dominion.
Dead men naked they shall be one
With the man in the wind and the west moon;
When their bones are picked clean and the clean bones gone,
They shall have stars at elbow and foot;
Though they go mad they shall be sane,
Though they sink through the sea they shall rise again;
Though lovers be lost love shall not;
And death shall have no dominion.
And death shall have no dominion.
Under the windings of the sea
They lying long shall not die windily;
Twisting on racks when sinews give way,
Strapped to a wheel, yet they shall not break;
Faith in their hands shall snap in two,
And the unicorn evils run them through;
Split all ends up they shan't crack;
And death shall have no dominion.
And death shall have no dominion.
No more may gulls cry at their ears
Or waves break loud on the seashores;
Where blew a flower may a flower no more
Lift its head to the blows of the rain;
Though they be mad and dead as nails,
Heads of the characters hammer through daisies;
Break in the sun till the sun breaks down,
And death shall have no dominion.
E morte non avrà dominio

E morte non avrà dominio.
E i morti nudi saranno uno
Con l'uomo nel vento e la luna occidentale;
Quando le loro ossa saranno scarnite e le ossa scarnite andate,
Avranno stelle ai gomiti e ai piedi;
Per quanto impazziti saranno savi,
Per quanto affondino nel mare torneranno a risorgere;
Per quanto gli amanti si perdano, l’amore sarà salvo;
E morte non avrà dominio.

E morte non avrà dominio.
Sotto i gorghi del mare
Quelli che a lungo giacciono non moriranno verbosamente;
Torcendosi ai tormenti mentre i tendini cedono,
Legati a una ruota, pur non si romperanno;
La fede nelle loro mani si spezzerà in due,
E gli unicorni del male li trapasseranno;
Strappati da ogni lato non si incrineranno
E morte non avrà dominio.

E morte non avrà dominio.
Mai più possano i gabbiani gridare ai loro orecchi
Né le onde frangersi furiose sulle rive;
Dove fiore sbocciò possa fiore mai più
Sollevare il capo agli scrosci della pioggia;
Per quanto impazzite e morte come chiodi,
Le teste dei personaggi martellano fra le margherite;
Irrompendo nel sole fino a che il sole cadrà,
E morte non avrà dominio.
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0908 – ‘Non vi lascerò orfani’ di DARIA BIGNARDI

Vi segnalo questo libretto, snello e piacevole alla lettura, di memorie di un noto personaggio televisivo, Daria Bignardi.
Secondo me si lega bene a Dylan Thomas .

Daria Bignardi è un "personaggio" televisivo, quindi lo si ama oppure non lo si può soffrire, troppo in bianco e nero per poterci trovare una via di mezzo, ed a me piace. Mi piace la sua solarità, la testa tenuta sempre alta, un po' sfrontata, il piglio sicuro.
Da quando ho letto questo suo primo libro poi la sento molto vicina a me, per via di tante cose che ho trovato abbiamo in comune: la quasi coetaneità, l'aver perso il padre a 23 anni e la madre a 45 (però con modalità rovesciate, improvviso lui e di cancro lei per me, al contrario per Daria), l'aver avuto un'infanzia dorata e per questo mitizzata e per sempre rimpianta ( "Non ebbi anch'io, una volta, una giovinezza dolce, eroica, favolosa da scrivere su fogli d'oro? Troppa fortuna! Per quale delitto, per quale errore, ho meritato la mia debolezza attuale?" - A. Rimbaud), in netto contrasto con quegli anni, fra i 20 e i 30, per tutti i migliori e per noi "maledetti", esser cresciuti in una famiglia della piccola borghesia, uscita mal messa dalla guerra, molto legata alla terra, molto legati al piccolo paese d'origine. Sinistrorsi, ma per esserci arrivati da soli.

Vi allego due brevi stralci, che mi hanno colpito perchè "li sento molto miei":

"...ho pensato che avevo 23 anni, uno meno di Silvia, quando morì mio padre, e per un momento è tornata l'angoscia dei maledetti anni tra i venti ed i trenta, i peggiori della mia vita. La morte fa più paura quando non si è più bambini ma non si ha ancora una famiglia propria, quando della morte non s'è ancora intuito il senso. Più avanti è una sofferenza diversa, legata alla mancanza di chi se n'è andato, e alla consapevolezza che il prossimo sarai tu."

"A me però la mia infanzia è piaciuta. C'era calore in quel caos di emozioni: non c'è stato un sol giorno della mia vita con i miei in cui non l'abbia sentito. Lo sento anche adesso che non ci sono più: mi scalda e mi riempie."

Non cercate nel libro profondità filosofiche, frasi memorabili, aforismi arguti: non ce ne sono. E' un libro molto lineare, semplice, la raccolta dei ricordi di una vita legati insieme con le storie sentite raccontare in casa dai "grandi" e con la dichiarazione tardiva di vero amore filiare verso una madre sentita prima ingombrante, poi fastidiosa, poi pesante ed infine dolce e fragile, cioè da amare.

Ciao
Pier


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0909 – Poesie di MILAN RUFUS

Questa settimana vi invio la proposta di lettura che ci ha inviato Melissa .
Del poeta di cui ci parla non esistono libri in commercio l' unico testo , "un libricino invisibile", lo ha trovato , per caso, nella biblioteca di San Benedetto del tronto .
E' un' edizione del 1992 di una casa ediritrice di Napoli. Vi invito , davvero, a leggerlo.
Le uniche, scarne, notizie che ho trovato si riferiscono alla sua morte che è avvenuta
l' anno scorso.

" La biblioteca dei libri scomparsi " esiste davvero ? io credo di si !

MILAN RÚFUS è nato il 10 dicembre 1928 a Zàvaznà Poruba.
Docente di letteratura ceca e slovacca,è unanimemente considerato come uno dei
massimi poeti del Novecento slovacco.

“Il sentimento della solitudine è fortissimo in Rufus ,al punto che egli si sente uno spaesato nella vita ,uno smarrito. Nella sua poesia il suo carattere introverso si
manifesta con l’andatura di soliloquio che assume il discorso:il
lettore deve incessantemente riempire gli spazi vuoti lasciati tra
verso e verso,fra una immagine e la seguente,fra un pensiero e un
altro che con esso,apparentemente,sembra non collegarsi. Nei suoi
rapporti con la poesia bisogna distinguere in Rufus due atteggiamenti:
uno, più istintivo,diretto,ci invita a farglisi attorno quando in lui
si affaccia l’ ispirazione .L’altro è l’atteggiamento reso introverso
dalle zone di tenebra della vita ,che lo costringono a “soppesare la
fronte nel palmo” e lo lasciano solo.”

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“Durante l’inverno asciutto,rigido,il lago si era gelato,e il ghiaccio,
sulla superficie era solido,puro e trasparente come un vetro. Ci
camminavo sopra e guardavo,stupefatto,come giù,sotto di esso,la
profondità del lago vivesse di una vita silenziosa,fascinosa . Vedevo,
laggiù, ceppi secolari di alberi sradicati e ,fra i loro rami,nuotavano
i pesci .Era una miracolosa musica del profondo,sotto il ghiaccio. Era
l’attimo nel quale prendeva a parlare l’anima di questo lago
eternamente silenzioso.”

MUSICA SOTTO IL GHIACCIO

Accadrà a tutti,una
volta.
Accadrà a noi e accadrà a voi.
Che in un istante di solitudine
improvvisa
un uomo si soppesi la testa nel palmo.
Tutto quel che è
fido tace .La terra i boschi-
ogni cosa in silenzio ti rammemora.
E tu
solo in quel silenzio apprendi d’essere
un abisso.

MA ANCHE LA DOMANDA

Quante parole ti restano?
Quanto bronzo occorre
per un fioco rintocco?
Sai?Parole di poeta.
Così tante domande,
così
poche risposte.
Dove si occulta il sogno,
dove la verità degli uomini?
Ma anche la domanda:
vibra e ti fa vibrare.
Quante parole ti restano
ancora
per i silenzi dopo la parola?
Chiedilo almeno.
Che tu sia come
un fanciullo,
che non ha un genitore
che gli risponda
-------------------------------- O ---------------------------------
0910 – ‘L’eredità di Esther’ di SANDOR MARAI

Ora vi invio la proposta di lettura della settimana che ci ha mandato Georgia.
L' Ungheria non finisce mai di stupirci : Agota Kristof, Magda Szabò ...


‘L’eredità di Eszter’
dello scrittore ungherese Sàndor Màrai (nato in Ungheria nel 1900 e morto 10 anni fa a San Diego)


Vorrei proporre agli amici di ‘Leggere 54’ la lettura di un’opera di Sàndor Màrai, uno scrittore che sa descrivere in modo singolare le sensazioni, le speranze, le passioni, uno scrittore che invita a riflettere sui sentimenti immensi dell’amore e dell’amicizia, quei sentimenti così profondi che a volte però possono deluderci, spingendoci a fare i conti con noi stessi, nell’intimo, a raggiungere una maggiore consapevolezza e che in fondo ci fanno sentire vivi!

‘L’eredità di Eszter’ è un breve libro dolcissimo ed al tempo stesso disperato, che narra il sentimento di una donna che aspetta paziente l’unico uomo amato, l’unica persona che l’ha fatta vivere anche se non l’ha fatta felice.. Dopo venti anni Lajos torna da lei ma Eszter lo conosce bene ed immagina già come andranno le cose…. Eszter narra in prima persona la sua storia, le sue riflessioni e le sue conclusioni fino a giungere ad un finale per certi versi irritante…..


Ecco qualche estratto:

“Comincio a credere che le grandi decisioni fatali, quelle che determinano il profilo caratteristico del nostro destino, siano molto meno consapevoli di quanto supponiamo nei momenti in cui torniamo al passato per evocarne la memoria. Io, allora , non vedevo Lajos in quella casa da vent’anni ed ero convinta di essere corazzata contro i ricordi. Poi un giorno ricevetti il suo
telegramma (………) Mi fermai sulla veranda e dissi ad alta voce: .. Non so con quale tono di voce pronunciai quelle parole.
Probabilmente non gridai dalla felicità. Devo aver parlato come una sonnambula che viene svegliata all’improvviso. Quello stralunato dormiveglia era durato vent’anni. Per vent’anni mi ero aggirata chissà dove sull’orlo di un precipizio, un passo dopo l’altro, tranquillamente, col sorriso sulle labbra.
Ora che mi ero destata, vidi di colpo la realtà così com’era. Ma non mi vennero più le vertigini. Nella realtà, sia in quella della vita che in quella della morte,vi è qualcosa di tranquillizzante.”


“E’ una legge crudele… Ascolta.. La legge del mondo esige che ciò che è iniziato una volta debba essere condotto a termine. E questo non è davvero motivo di gioia. Nulla arriva mai in tempo, la vita non ci dà mai qualcosa nel momento in cui siamo preparati a riceverlo. Soffriamo a lungo a causa di questo disordine, di questi ritardi. Siamo convinti che qualcuno si prenda gioco di noi. Ma un bel giorno ci rendiamo conto che tutto era preordinato secondo un meccanismo perfetto… Due persone non possono incontrarsi neanche un giorno prima di quando saranno mature per il loro incontro… Mature, ma non secondo le loro inclinazioni o preferenze, bensì nell’intimo, secondo i dettami di una specie di legge astronomica inoppugnabile, così come si incontrano i corpi celesti nell’immensità dello spazio e del tempo, con precisione matematica, nello stesso attimo, che è il loro attimo nella successione infinita dei secoli e delle distese spaziali.”

Lajos è un abile mistificatore che addirittura cerca di incolpare Eszter per come sono andate le cose:


“Vedi, Eszter, ritrovarsi a distanza di tempo è quasi più misterioso ed eccitante di quanto non lo sia incontrarsi per la prima volta… questo lo so da parecchio. Rivedere una persona che abbiamo amato non è forse un po’ come tornare sul luogo del delitto, spinti da una necessità irresistibile, come si dice nei romanzi polizieschi?...ho amato solo te nella mia vita, senza troppe esigenze e in modo abbastanza incoerente, si, lo so… E poi è accaduto qualcosa, un incidente che non riguarda soltanto le lettere, quelle che Vilma ti ha sottratto. Le lettere non sono un motivo sufficiente. Eri tu che non volevi veramente questo amore. Non protestare. Non basta amare qualcuno. Bisogna amare con coraggio. Bisogna amare in modo tale che nulla, né ladri né influenze esterne né leggi umane o divine possa interferire con questo sentimento. Noi due non ci siamo amati con coraggio…. Ecco qual è stato il guaio…. Ed è colpa tua perché il coraggio degli uomini in materia di amore è una cosa ridicola. L’amore è compito vostro. Voialtre siete grandi soltanto in questo.”

--------------------------------- O --------------------------------

0911 – ‘Cantico delle creature’ di SAN FRANCESCO D’ASSISI

Ora veniamo alla proposta della settimana che è anche il mio augurio di una Pasqua di Resurrezione per tutti.
Rinascere, morire, rinascere ..... ogni giorno della nostra vita e per sempre.
Solo questa speranza può farci sopportare la dimensione, a volte disumana, della sofferenza che questa settimana abbiamo avvertito particolarmente vicina e che ogni giorno si perpetua nel mondo .

Come accennavo nella comunicazione precedente, domenica pomeriggio, tornando da Perugia, mi sono fermato ad Assissi. Con Francesco ho una lunga storia.

Francesco è una figura centrale nella storia dell' uomo, sia laico che credente, ancora tutta da scoprire.. Non so quanti libri e documentazioni varie avrò letto su di lui e quanti film avrò visto sulla sua vita.....

Vi consiglio sicuramente: " Vita di un' uomo" di Chiara Frugoni - Einaudi ( ho conversato con lei ad una conferenza su Francesco ) ; il film " Francesco " di Liliana Cavani l' ultimo quello con Michey Rourke .

Quest' uomo deve essere stato sicuramente speciale se dopo 800 anni i mussulmani venerano il suo ricordo. I francescani sono infatti i custodi di Terra Santa.
Vicino a Ein Karem ho visitato un convento francescano abitato da un solo frate in una zona totalmente islamica.
Chissà, forse un giorno vi racconterò anche della lunga conversazione avuta a Nazareth con un missionario francescano di 85 anni che era appena arrivato dalle foreste
dell' Amazzonia dove era rimasto per 60 anni. Era malato, tornato per morire. Ma questa è un’ altra storia.

Di Francesco, comunque, parleremo ancora.
Ora il Cantico delle creature , la prima poesia in lingua italiana, una poesia che canta la bellezza della natura e della vita dell' uomo nel suo limite ed individua nella trascendenza
l' unico modo per superarlo e trovare senso.

Saluti e buone letture
Filippo Massacci




CANTICO DELLE CREATURE
di San Francesco d'Assisi
Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi Siignore, per sora Luna e le stelle:
il celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi Signore, per sor'Acqua.
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fior et herba.
Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infermitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.
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0912 – ‘La memoria salvata’ di PRIMO LEVI

Ora veniamo alla proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Alkâios.


PRIMO LEVI E LA MEMORIA SALVATA

Agli amici di Leggere 54 vorrei segnalare l’ultimo libro scritto da Primo Levi che costituisce una sorta di summa e definitiva sistemazione del pensiero dell’autore. A distanza di oltre vent’anni dalla loro pubblicazione le lucidi riflessioni de I Sommersi ed i Salvati continuano ancora ad interrogare le nostre coscienze (uscirono in effetti nel 1986, un anno prima della tragica scomparsa dell’autore). Esse sono un’analisi attenta, spietata, senza nessuna indulgenza a sentimentalismi o rivendicazioni di sorta, di quello che l’autore stesso definisce come il più grave eccidio di massa che ancora si ricordi. Si può fare riferimento a tanti altri capitoli tristi e tragici della storia universale, ma la sistematica operazione di epurazione condotta dai nazisti nei confronti non solo degli ebri d’Europa ma anche dei dissidenti politici, degli omosessuali, degli zingari e dei portatori di handicap, proprio per la scientifica premeditazione, la metodica applicazione di mezzi tecnologici, la sconfinata crudeltà dimostrata dai carnefici, omologati alla struttura di potere sia per acritica adesione alle sue logiche perverse che per paura o codardia, non ha confronti con nessun altro tipo di ignominia umana.
Le parole di Levi in questo senso riescono ad essere illuminanti proprio perché asciutte e taglienti, precise come quelle di uno scienziato impegnato ad esaminare con implacabile rigore la materia su cui si piega. Levi sa muoversi su più piani, da grande scrittore e lucido osservatore quale è, scienziato anch’egli (la sua professione era quella di chimico) ed intellettuale a tutto tondo.
La voce che ci arriva da questi scritti è a tratti quella del testimone, scampato alla feroce brutalità del lager, ma per altri versi deriva dalle attente valutazioni del sociologo, dell’etnologo, del linguista ed anche, come è ovvio, dello storico-cronista, che ci restituisce i fatti nella loro scarna nudità esaltandone la valenza di testimonianza e monito. Quest’uomo straordinario per la potenza del ricordo che emana ad ogni sua pagina, per il quale il racconto diviene un preciso dovere morale, un’esigenza imprescindibile ed irriducibile dopo il peso della sofferenza vissuta, si slancia con ardore nella scrittura per comunicare ai posteri, senza schemi ideologici o idee preconcette, la brutalità di una tragedia, già per sua natura, di difficile rappresentazione..
L’opera si snoda su una serie di interpretazioni incentrate sul dramma dell’Olocausto, affrontate sulla base di spunti tematici diversi ed analizzate sin nei più sottili meccanismi di funzionamento: la cosiddetta zona grigia, dunque il forzato collaborazionismo nei lager, la necessità della comunicazione in lingua tedesca come labile forma di sopravvivenza nel mondo concentrazionario, la logica perversa di omologazione ad una disciplina militare disumanizzante e al fanatismo guerresco di stampo prussiano. La trama insomma di quelle terribili fabbriche di morte viene svelata ed osservata sotto più profili per metterne in evidenza la brutalità e le assurde motivazioni che le sottendevano.
Primo Levi è stato uno dei pochi superstiti che ha avuto la possibilità di tramandare i suoi ricordi, sia pur nella difficile condizione psicologia del sopravvissuto. Dei 650 ebrei trasportati dal campo di raccolta di Fossoli nel modenese a quello di concentramento di Auschwitz, in Polonia, il 22 febbraio del 1944, stipati ad oltre 50 individui per vagone, solo 20 persone si salvarono. Le dolorose ferite interiori inferte dalla tragedia collettiva vissuta e rielaborata nel lutto avrebbero fatto di Levi una vittima ritardata della detenzione ad Auscwitz, accrescendo nell’autore quel senso di angoscia lacerante che lo avrebbe portato al suicidio, sebbene le circostanze della morte restino a tutt’oggi non completamente chiarite. Il sipario sulla vita di Primo Levi cala l’11 aprile 1987 dopo una rovinosa caduta dalla tromba delle scale del sua casa di Torino. Di lui rimarrà la figura di un uomo moralmente integro che ha portato l’opinione pubblica ad una più forte e decisa presa di coscienza sociale su quella terribile ed innominabile pagina della storia umana che va sotto il nome di Shoah.
Si dice che Philip Roth, scrittore americano di origini ebree tuttora vivente, interrogato su chi fosse secondo lui lo scrittore più significativo di tutta la letteratura italiana, abbiamo evocato proprio Primo Levi, dato che, dopo l’uscita di Se questo è un uomo, a pochi anni dalla fine del conflitto e precisamente nel 1948, “nessuno avrebbe più potuto affermare di non essere stato ad Auschwitz”. Primo Levi insomma costituisce, nell’ambito della storia della nostra letteratura, e non solo, un punto di non ritorno.
Come stimoli per la lettura di questo libro, di evidente importanza per la formazione di ogni cittadino, valgano alcuni estratti che ho giudicato particolarmente significativi.
Quelli ad esempio in cui Levi parla dei processi di deformazione del ricordo o rimozione volontaria della memoria messi in atto dai nazisti nel tentativo di cancellare ogni traccia del passato.
“Come caso limite della deformazione del ricordo di una colpa commessa, c’è la sua soppressione. Anche qui il confine tra buona e male fede può essere vago; dietro i “non so” e “non ricordo” che si sentono in tribunale c’è il preciso progetto di mentire, ma altre volte si tratta di una menzogna fossilizzata, irrigidita in una formula. Il memore ha voluto diventare immemore e ci è riuscito: a furia di negarne l’esistenza, ha espulso da sé il ricordo come si espelle un’escrezione o un parassita […] Il modo migliore per difendersi dall’invasione di memorie pesanti è impedirne l’ingresso, stendere una barriera sanitaria lungo il confine. E’ più facile vietare l’ingresso ad un ricordo che liberarsene quando è stato registrato. A questo in sostanza servivano molti degli artifizi escogitati dai comandi nazisti per proteggere le coscienze degli addetti ai lavori sporchi, per assicurarsi i loro servizi, sgradevoli anche per gli scherani più induriti. […] Del resto l’intera storia del Terzo Reich può essere riletta come guerra contro la memoria, falsificazione della realtà, negazione della realtà, fino alla fuga definitiva dalla realtà medesima”.
Sull’esigenza di comunicare per non rivivere passivamente la storia e lasciarsi dominare dagli eventi, spettatori passivi del proprio destino, preparando ai posteri un modo manipolato dai coscientizzatori di massa, lascio ad ognuno lo spazio ed il tempo, se vorrà, di riflettere sulle parole rivelatrici ed attualissime di Levi.
“Salvo casi di incapacità patologica comunicare si può e si deve: è un modo utile e facile di contribuire alla pace altri e propria, perché il silenzio, l’assenza di segnali, è a sua volta un segnale, ma ambiguo, e l’ambiguità genera inquietitudine e sospetto. Negare che comunicare si può è falso: si può sempre. Rifiutare di comunicare è colpa; per la comunicazione ed in specie per quella sua forma altamente evoluta e nobile che è il linguaggio, siamo biologicamente e socialmente predisposti. Tutte le razze umane parlano; nessuna specie non-umana sa parlare”..
Le sue considerazioni circa quel non ben definito confine tra bene e male che porta Levi a rifuggire da un certo manicheismo tranciante e che nel contesto dei Lager ha visto, pur con tutte le dovute distinzioni che si devono ai singoli casi, le vittime, non sempre per costrizione o paura, trasformarsi in complici dei carnefici, più o meno coscienti del loro ruolo.

“Siamo capaci noi reduci di comprendere e di far comprendere la nostra esperienza? Ciò che comunemente chiamiamo “comprendere” coincide con “semplificare”(…). Tendiamo a semplificare anche la storia; ma non sempre lo schema entro cui si ordinano i fatti è individuabile in modo univoco e può dunque accadere che storici diversi comprendano e costruiscano la Storia in modi tra loro incompatibili; tuttavia è talmente forte in noi, forse per ragioni che risalgono alle nostre origini di animali sociali, l’esigenza di dividere il campo tra “noi”e “loro” che questo schema, la bipartizioni amico-nemico, prevale su tutti gli altri. La storia popolare, anche la storia quale viene tradizionalmente insegnata nelle scuole, risente di questa tendenza manichea che rifugge dalle mezze tinte e dalle complessità (…). L’ingresso in Lager era invece un urto per la sorpresa che portava con sé. Il mondo in cui ci si sentiva precipitati era sì terribile ma anche indecifrabile: non era conforme ad alcun modello, il nemico era intono ma anche dentro, il “noi” perdeva i suoi confini, i contendenti non erano due, non si distingueva una frontiera ma molte e confuse, forse innumerevoli, forse tra ciascuno e ciascuno”.

Esistono due bei volumi dell’Einaudi sull’opera: uno, ormai fuori catalogo, è quello inserito all’interno dell’Opera Omnia dei Levi nella storica collana Nuove Universale Einaudi, che con po’ di fortuna potrete ancora trovare (è l’edizione che chiaramente consiglio). L’altra nei più diffusi TASCABILI, di cui sono disponibili varie ristampe, è presente un po’ in tutte le librerie.

Buone letture

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0913 – ‘To My Daughter’ di STEPHEN SPENDER

Ora la proposta di lettura che mi ha inviato Veronica C. autrice della straordinaria riflessione su Dylan Thomas di qualche settimana fa .


Dopo avervi proposto una poesia dedicata da un figlio a suo padre, stavolta ve ne propongo una che un padre dedica a sua figlia.

Voglio fare una premessa: se vi dovesse capitare di andare a Londra (o di ritornarci), e di ritrovarvi inevitabilmente ad addentrarvi nel suo tenebroso ventre, quando siete dentro un treno di una qualsiasi linea della Underground, guardate in alto!
Se sarete fortunati, non vedrete una pubblicità (sebbene io ritenga che le pubblicità inglesi siano geniali per il modo in cui giocano abilmente con le parole), ma leggerete una bella poesia, una qualunque, scritta da un poeta famoso, o da un altro meno famoso, in un’epoca qualunque.

Fatelo! Guardate sempre in alto quando siete in metropolitana a Londra. Io ci ho dovuto passare molto tempo, e quelle tante poesie che ho incontrato con lo sguardo, trascrivendole di fretta sul mio inseparabile taccuino, mi aiutavano a dimenticare quell’assurda prigione sotterranea, mi aiutavano a non pensare alle tonnellate di cemento, cavi, tubi, acqua, e chissà cos’altro (?!?), che mi separavano dal cielo.

Gli inglesi, orgogliosi (giustamente) della loro tradizione poetica, si sono inventati questa bella cosa di pubblicare le loro poesie (dalla prima, che si ritiene risalga al 7 d.C., fino alle più recenti) sui treni delle varie linee della metropolitana, per sensibilizzare il pubblico viaggiante alla poesia.

Varie raccolte di tali poesie sono state poi pubblicate in volumi intitolati Poems on the Underground (prima pubblicazione nel 1986).

La poesia che vi propongo oggi non l’ho mai dimenticata, per tutta la luce che mi ha trasmesso, seppure in un luogo che più buio non potrebbe essere.

Poesia letta su un treno della District Line verso Kew Gardens – Londra 16 novembre 2000”


“To My Daughter”
Stephen Spender

Bright clasp of her whole hand around my finger,
My daughter, as we walk together now.
All my life I’ll feel a ring invisibly
Circle this bone with shining: when she is grown
Far from today as her eyes are far already.

Luminosa stretta della sua mano intera intorno al mio dito,
Mia figlia, mentre camminiamo insieme ora.
Per tutta la vita sentirò un anello circondare
Invisibilmente quest’osso con splendore: quando lei sarà grande
Lontano da oggi così come i suoi occhi sono già lontani.


Stephen Spender (Londra, 28 febbraio 1909 – Londra, 16 luglio 1995) è stato un poeta e saggista inglese.
Condivise per un certo periodo le posizioni ideologiche e culturali di Auden e di Day Lewis; durante la guerra civile si recò in Spagna ove lavorò a favore della causa repubblicana.
Con la raccolta Poems (Poesie; del 1933) acquistò una posizione di primo piano nel panorama della poesia inglese contemporanea e nella corrente di rinnovamento del linguaggio poetico fiorita nel decennio 1930-1940. Dalla iniziale tematica politica e sociale, cui si mescolavano motivi di individualismo anarchico, Spender si è poi rivolto verso temi di più intima riflessione che trovano riscontro in toni di pacata meditazione.
Ha diretto la rivista Encounter dal 1953 al 1967.

Chi conosce la lingua inglese, si accorgerà, leggendo la poesia To my daughter, che l’ordine delle parole nell’ultima strofa suona piuttosto strano.
Tutte le poesie di Spender sono contrassegnate da una certa mancanza di rispetto circa le regole della sintassi, della grammatica e dell’ordine delle parole.
Tuttavia, combinando il lirismo con l’eloquenza del linguaggio colloquiale, Spender riesce a non cadere mai nell’ordinario o nel banale.
Al contrario, le sue astrazioni, le sue sottili ambiguità, risultano in un linguaggio che non perde ne’ raffinatezza da un lato, ne’ chiarezza e realismo dall’altro.

Ed è proprio in virtù di questa capacità che non è necessario avere un figlio per immedesimarsi totalmente nel sentimento espresso dal poeta in To my daughter.
Sicuramente, chi ha un figlio, troverà questa poesia ancora più struggente, riuscirà meglio a calarsi empaticamente nel ruolo e nei sentimenti del protagonista, e potrà realmente capire la gioia, allo stesso tempo indissolubilmente legata al dolore, di un genitore, di portare per sempre un anello invisibile.

Tuttavia, l’aura in cui è avvolta l’immagine di questo padre a spasso con sua figlia, non manca di arrivare al cuore di chiunque, a portarvi luce.
Si tratta di un’immagine bloccata nel tempo, che diventa eterna ed universale: è il padre che vorrebbe che sua figlia lo tenesse sempre per mano, come in quel momento, e tuttavia vi è in essa anche movimento, perché il tempo non si può fermare, e gli occhi di una bambina si muovono veloci verso la maturità, verso la vita futura, il divenire.

Vi è quindi al contempo l’urgenza di un padre di offrire protezione, e la consapevolezza dello stesso, che quella protezione già non è più richiesta, negli occhi di una bambina che non possono fare altro che vagare, curiosi e incerti, nell’immensità del futuro, proprio come le parole di Spender nell’ultima strofa, vagano sperdute alla ricerca di un senso.

Veronica C.

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0914 – La madre

Ora la proposta della settimana, sulla figura della madre, che ci ha inviato un' amica e sostenitrice di leggere54.



Cari amici di leggere 54, suggerisco questa breve riflessione sulla figura della madre. Al di là del rapporto più o meno positivo con la propria madre, questa è una figura centrale nello sviluppo di ciascun individuo ed importante punto di riferimento. Una buona madre c’è sempre, ci conosce e ci ama per quello che siamo ed il suo affetto è incondizionato. Ci sentiamo da lei giudicati, non sempre compresi, ma in fondo sempre protetti.
Una madre non è forse insostituibile? Possiamo amarla, stimarla, invidiarla, ma anche contrastarla, criticarla o peggio detestarla ma la madre è il nostro specchio, la nostra origine, il punto di partenza, colei che ci apre le porte alla vita e che ci fa muovere i primi passi, è un pezzo di noi e per tutta la vita porteremo dentro la sua influenza.
Chiudo questa breve riflessione proponendovi la lettura di alcune poesie e scritti ispirati dalla figura della madre.
G.


Kahlil Gibram

“La parola “madre” è nascosta nel cuore
E sale alle labbra nei momenti di dolore e di felicità,
come il profumo sale dal cuore della rosa e si mescola all’aria chiara”.



William Shakespeare
“… Tu sei di tua madre lo specchio,
ed ella in te rivive
il dolce aprile del fior
dei suoi anni…”


Dante Alighieri
Vergine madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’eterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti si’ che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si riaccese l’amore,
Per lo cui caldo ne l’eterna pace
Così è germinato questo fiore.
Qui se’ a noi meridiana face
Di caritate, e giuso, intra mortali,
se’ di speranza fontana vivace.
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre
sua distanza vuol volar senz’ali.



Supplica a mia madre di Pier Paolo Pasolini
E' difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.

Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.

E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame
d'amore, dell'amore di corpi senza anima.

Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

ho passato l'infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.

Era l'unico modo per sentire la vita,
l'unica tinta, l'unica forma: ora è finita.

Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.

Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…



La madre di Ungaretti

E il cuore quando d'un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d'ombra
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.


Commento alla poesia ( da internet )
Ungaretti, nella sua nota "Ragioni di una poesia", ha scritto: "Il mistero c'è, è in noi. Basta non dimenticarsene. Il mistero c'è, e col mistero, di pari passo, la misura; ma non la misura del mistero, cosa umanamente insensata; ma di qualche cosa che in un certo senso al mistero s'opponga, pure essendone per noi la manifestazione più alta: questo mondo terreno considerato come continua invenzione dell'uomo. ... mistero è il soffio che circola in noi e ci illumina". E ha aggiunto: "... non ci saranno mai luci umane - né proustiane, né freudiane - capaci di renderci di renderci mensurabile tale dato, da rendercelo tale da vederci finalmente chiaro". Il "dato" cui si riferisce è il "dato oscuro" su cui "per l'uomo tutto poggia sempre". Non è difficile intuire che proprio da questa convinzione sull'impotenza dell'uomo di poter far luce sul mistero della vita, e di conseguenza della morte, nasce la visione della madre che nel momento in cui il figlio arriverà lo prenderà per mano ma non l'abbraccerà subito, aspetterà invece che Dio lo perdoni prima di accoglierlo tra le braccia; ferma come statua non si smuoverà dal gesto intercessivo finché non arriverà il perdono invocato. Ancora una volta la madre sarà risolutrice del benessere del figlio. Per il laico Ungaretti questa professione di fede in modo indiretto attraverso la figura della madre è un fatto straordinario. Non avrebbe ottenuto lo stesso effetto emozionale e letterario se avesse scritto una preghiera direttamente rivolto a Dio. Una grande poesia.



LETTERA ALLA MADRE di Salvatore Quasimodo

"Mater dolcissima, ora scendono le nebbie, il Naviglio urta confusamente sulle dighe, gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve; non sono triste nel Nord: non sono in pace con me, ma non aspetto perdono da nessuno, molti mi devono lacrime da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi come tutte le madri dei poeti, povera e giusta nella misura d'amore per i figli lontani. Oggi sono io che ti scrivo." - Finalmente, dirai, due parole di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore lo uccideranno un giorno in qualche luogo. - "Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo di treni lenti che portavano mandorle e arance, alla foce dell'Imera, il fiume pieno di gazze, di sale, d'eucalyptus. Ma ora ti ringrazio, questo voglio, ell'ironia che hai messo sul mio labbro, mite come la tua. Quel sorriso m'ha salvato da pianti e da dolori. E non importa se ora ho qualche lacrima per te, per tutti quelli che come te aspettano, e non sanno che cosa. Ah, gentile morte, non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il muro tutta la mia infanzia è passata sullo smalto del suo quadrante, su quei fiori dipinti: non toccare le mani, il cuore dei vecchi. Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà, morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater."


A mia madre di Eugenio Montale
Ora che il coro delle coturnici
ti blandisce dal sonno eterno, rotta
felice schiera in fuga verso i clivi
vendemmiati del Mesco, or che la lotta
dei viventi più infuria, se tu cedi
come un’ombra la spoglia
(e non è un’ombra,
o gentile, non è ciò che tu credi)
chi ti proteggerà? La strada sgombra
non è una via, solo due mani, un volto,
quelle mani, quel volto, il gesto di una
vita che non è un’altra ma se stessa,
solo questo ti pone nell’esilio
folto d’anime e voci in cui tu vivi.
E la domanda che tu lasci è anch’essa
un gesto tuo, all’ombra delle croci


Consolazione di Gabriele D’Annunzio

Non pianger più. Torna il diletto figlio
a la tua casa. È stanco di mentire.
Vieni, usciamo. Tempo è di rifiorire.
Troppo sei bianca: il volto è quasi un giglio.
Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato
serba ancóra per noi qualche sentiero.
Ti dirò come sia dolce il mistero
che vela certe cose del passato.
Ancóra qualche rosa è ne' rosai,
ancóra qualche timida erba odora.
Ne l'abbandono il caro luogo ancóra
sorriderà, se tu sorriderai.
Ti dirò come sia dolce il sorriso
di certe cose che l'oblìo afflisse.
Che proveresti tu se ti fiorisse
la terra sotto i piedi, all'improvviso?
Tanto accadrà, ben che non sia d'aprile.
Usciamo. Non coprirti il capo. È un lento
sol di settembre, e ancor non vedo argento
su 'l tuo capo, e la riga è ancor sottile.
Perché ti neghi con lo sguardo stanco?
La madre fa quel che il buon figlio vuole.
Bisogna che tu prenda un po' di sole,
un po' di sole su quel viso bianco.
Bisogna che tu sia forte; bisogna
che tu non pensi a le cattive cose...
Se noi andiamo verso quelle orse,
io parlo piano, l'anima tua sogna.
Sogna, sogna, mia cara anima! Tutto,
tutto sarà come al tempo lontano.
Io metterò ne la tua pura mano
tutto il mio cuore. Nulla è ancor distrutto.
Sogna, sogna! Io vivrò de la tua vita.
In una vita semplice e profonda
io rivivrò. La lieve ostia che monda
io la riceverò da le tue dita.
Sogna, ché il tempo di sognare è giunto.
lo parlo. Di': l'anima tua m'intende?
Vedi? Ne l'aria fluttua e s'accende
quasi il fantasma d'un april defunto.
Settembre (di': l'anima tua m'ascolta?)
ha ne l'odore suo, nel suo pallore,
non so, quasi l'odore ed il pallore
di qualche primavera dissepolta.
Sogniamo, poi ch'è tempo di sognare.
Sorridiamo. E la nostra primavera,
questa. A casa, più tardi, verso sera,
vo' riaprire il cembalo e sonare.
Quanto ha dormito, il cembalo! Mancava,
allora, qualche corda; qualche corda
ancóra manca. E l'ebano ricorda
le lunghe dita ceree de l'ava.
Mentre che fra le tende scolorate
vagherà qualche odore delicato,
(m'odi tu?) qualche cosa come un fiato
debole di viole un po' passate,
sonerò qualche vecchia aria di danza,
assai vecchia, assai nobile, anche un poco
triste; e il suon sarà velato, fioco,
quasi venisse da quell'altra stanza.
Poi per te sola io vo' comporre un canto
che ti raccolga come in una cuna,
sopra un antico metro, ma con una
grazia che sia vaga e negletta alquanto.
Tutto sarà come al tempo lontano.
L'anima sarà semplice com'era;
e a te verrà, quando vorrai, leggera
come vien l'acqua al cavo de la mano.


A MIA MADRE di De Amicis

Non sempre il tempo la beltà cancella
o la sfioran le lacrime e gli affanni
mia madre ha sessant'anni e più la guardo
e più mi sembra bella.
Non ha un accento, un guardo, un riso
che non mi tocchi dolcemente il cuore.
Ah se fossi pittore, farei tutta la vita
il suo ritratto.
Vorrei ritrarla quando inchina il viso
perch'io le baci la sua treccia bianca
e quando inferma e stanca,
nasconde il suo dolor sotto un sorriso.
Ah se fosse un mio prego in cielo accolto
non chiederei al gran pittore d'Urbino
il pennello divino per coronar di gloria
il suo bel volto.
Vorrei poter cangiar vita con vita,
darle tutto il vigor degli anni miei
Vorrei veder me vecchio e lei...
dal sacrificio mio ringiovanita!

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0915 – ‘Domani nella battaglia pensa a me’ di JAVIER MARIAS

Ora la proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Massimiliano.
"Domani nella battaglia pensa a me" di Javier Marias.


"Ciò che commuove di più, in un romanzo, è riconoscere situazioni ed emozioni vere che sapevi ma non sapevi di sapere". Con queste parole, l´autore presenta il suo romanzo "Domani nella battaglia pensa a me". Frase per me rivelatrice e vagamente autologica, perché in fondo lo sapevo, ma non sapevo di saperlo...
"Domani nella battaglia pensa a me" ne è disseminata di queste situazioni:

"Nessuno pensa mai che potrebbe ritrovarsi con una morta tra le braccia e non rivedere mai più il viso di cui ricorda il nome. Nessuno pensa mai che qualcuno possa morire nel momento più inopportuno anche se questo capita di continuo, e crediamo che nessuno se non chi sia previsto dovrà morire accanto a noi. Molte volte si nascondono i fatti o le circostanze: i vivi e quello che muore - se ha il tempo di accorgersene - spesso provano vergogna per la forma della morte possibile e per le sue apparenze, e anche per la causa. Una indigestione di frutti di mare, una sigaretta accesa quando si sta per prendere sonno che dà fuoco alle lenzuola, o anche peggio, alla lana di una coperta; uno scivolone nella doccia - la nuca - e la porta del bagno chiusa a chiave, un fulmine divide l'albero in un grande viale e quell'albero cadendo schiaccia o stacca la testa di un passante, forse uno straniero; morire con indosso soltanto i pedalini, o dal barbiere con un grande bavaglino, al postribolo o dal dentista; o mangiando il pesce e trafitto da una spina, morire strozzandosi come il bambino la cui madre non è lì a infilargli un dito in gola per salvarlo; morire rasati a metà, con una guancia coperta di schiuma e la barba diseguale fino alla fine dei tempi se nessuno rimedia e per pietà estetica non conclude il lavoro; per non citare i momenti più ignobili dell'esistenza, i più nascosti, di cui non si parla mai se non durante l'adolescenza, perché al di fuori di questa non c'è il pretesto, anche se c'è poi chi li sbandiera per apparire arguto senza riuscirci mai. Ma quella è una morte orrenda, si dice di certe morti; ma quella è una morte ridicola, si dice anche, sghignazzando. Lo sghignazzo viene fuori perché si parla di un nemico finalmente estinto o di qualcuno distante, qualcuno che ci ha fatto uno sgarbo o che abita nel passato da molto tempo, un imperatore romano, un trisavolo, oppure qualche potente nella cui morte grottesca si vede soltanto la giustizia ancora vitale, ancora umana, che in fondo desidereremmo per tutti quanti, noi compresi. Come mi rallegro di questa morte, come mi dispiace, come la celebro".

Di Javier Marias (l´autore), non darò alcuna nota biografica (molti di voi già lo conosceranno) né vorrei raccontarvi il romanzo riassumendone anche solo a grandi linee il "plot". Dirò solo che la storia, prendendo l´avvio da una morte inattesa ed "inopportuna" (tutte lo sono ma questa più di altre...), si articola, più che sugli inevitabili avvenimenti successivi, sui pensieri che questi generano nel protagonista-narratore; non un flusso di coscienza però, ma la volontà di sviluppare un tema (dunque una sorta di un romanzo filosofico) che lo stesso autore definisce come "la consapevolezza di dover vivere con l´inganno":

"In fondo, tutti abbiamo la stessa tendenza, vale a dire quella di vederci nelle diverse fasi della nostra vita come risultato e compendio di ciò che ci è accaduto e di ciò che abbiamo realizzato, come se fosse soltanto questo che costituisce la nostra esistenza. E dimentichiamo quasi sempre che le vite delle persone non sono soltanto questo: ogni percorso si compone delle nostre perdite e dei nostri rifiuti, delle nostra omissioni e dei nostri desideri insoddisfatti, di ciò che una volta abbiamo tralasciato o non abbiamo scelto o non abbiamo ottenuto, delle numerose possibilità che nella maggior parte dei casi non sono giunte a realizzarsi, tutte tranne una alla fine, delle nostre esitazioni e dei nostri sogni, dei nostri progetti falliti e delle nostre aspirazioni false o deboli, delle paure che ci hanno paralizzato, di ciò che abbiamo abbandonato e di ciò che ci ha abbandonati. Insomma, noi persone forse consistiamo tanto in ciò che siamo quanto in ciò che siamo stati, tanto in ciò che è verificabile e quantificabile e rammemorabile quanto in ciò che è più incerto, indeciso e sfumato, forse siamo fatti in ugual misura di ciò che è stato e di ciò che avrebbe potuto essere. E mi spingo fino a pensare che sia appunto la finzione a raccontarci tutto questo, o meglio, a servirci da promemoria di quella dimensione che siamo soliti lasciare da parte al momento di raccontare e di spiegare noi stessi e la nostra vita. E oggi il romanzo è ancora la forma più elaborata di finzione, o così credo.
In un certo senso il libro tratta di questo. Una frase del romanzo afferma: "Vivere nell'inganno è facile ed è la nostra condizione naturale, e in realtà questo non dovrebbe dolerci poi tanto". Si ricorda che tutti viviamo in maniera parziale ma permanente, subendo l'inganno oppure praticandolo, raccontando soltanto una parte, nascondendo un'altra parte e mai le stesse parti alle diverse persone che ci circondano. E tuttavia, a quel che sembra, non siamo del tutto capaci di abituarci a tutto ciò. E quando scopriamo che qualcosa non era come l'abbiamo vissuto ci si presenta nella vita reale quel dilemma che può tormentarci così tanto e che in grande misura è il terreno della finzione: non sappiamo più com'è stato per davvero ciò che ci sembrava certo, non sappiamo più com'è stato vissuto ciò che è stato vissuto, se è stato quello che abbiamo creduto fino a quando siamo stati ingannati o se dobbiamo gettare tutto quanto nel sacco senza fondo dell'immaginario e tentare di ricostruire i nostri passi alla luce della rivelazione presente e del disinganno. (...) L'inganno e la sua scoperta ci fanno vedere che anche il passato è instabile e malsicuro, che neppure ciò che in esso sembra ormai fermo e assodato lo è per una volta e non per sempre, che ciò che è stato è composto anche da ciò che non è stato, e che ciò che non è stato può ancora essere".

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0916 " Le livre de ma mere " di Albert COHEN

Ora la proposta di lettura della settimana, che ci ha inviato Alkâios, ci riporta sul tema della figura della madre .
"Le Livre de ma Mère " di Albert Cohen.

Agli amici di Leggere 54, ricollegandomi agli approfondimenti letterari che erano stati fatti sulla figura della madre, a pochi giorni di distanza dalla festa di tutte le mamme, vorrei proporre un testo che è come un canto di morte e di celebrazione postuma della figura di una madre appunto.
L’autore potrebbe non dirvi molto. Si chiama Albert Cohen e pensate che in Francia la sua opera è stata sistematizzata e seriamente rivalutata solo nel 1995 con l’ingresso a pieno titolo nella Pléiade, una sorta di tempio sacro delle collane di letteratura, la più prestigiosa al mondo.
Questo autore di origine greche, nato da una modesta famiglia ebrea di Corfù nel 1895, si trasferirà ben presto in Francia, a Marsiglia, a seguito della famiglia, per via delle persecuzione antisemitiche che si abbattevano pesantemente in quel tempo nella parte orientale dell’Europa, dove, pur sperimentando l’onta della discriminazione razziale, attingerà ben presto alle risorse della lingua e della cultura del nuovo paese.

Nel 1943, a seguito della morte della prediletta madre, mai troppo amata in vita, come lui stesso dice e per questo profondamente rimpianta, Cohen decide di intraprendere la scrittura di un testo, inizialmente intitolato Chant de Mort (allo stato di abbozzo ed apparso su France Libre, rivista clandestina della resistenza gollista in esilio a Londra) che andrà perfezionandosi con il tempo sino ad assumere nel 1954 il titolo definitivo di Le Livre de ma Mère.

Si tratta della rivisitazione retrospettiva di un rapporto antico e profondo in un libro talmente immediato e cristallino nella scrittura, puro ed elevato nei sentimenti espressi, essenziale e commovente nelle sue formulazioni di pensiero, da farne più cose assieme : un’orazione dolce e disperata, un monumentale epitaffio che si apre a considerazioni universali nella sua ultima parte, e un intreccio di ricordi ripresi con quel ritmo ciclico e ricorrente che è tipico dello stile dell’autore.

Marcel Pagnol, amico di una vita di Albert Cohen, sin dai tempi del liceo, così ne parla : « è un libro di una semplicità totale […] libro sconvolgente di dolore e di rimpianto, lamento di tenerezza straziante. […] Questo omaggio reso ad una madre in particolare si trasferisce continuamene ad un senso generale. E’ un omaggio alla Madre […] riflesso divino, maestà nell’amore, testimonianza divina. »

Vi lascio ora con alcuni spunti di lettura che spero possano incuriosirvi con l’augurio che queste poche righe suscitino in voi la stessa impressione che ho avuto io avvicinandomi a Le Livre de ma Mère: quella ossia di trovarsi di fronte ad un autore che è stato in grado di costruire un’opera di sicura importanza sul più comune dei luoghi comuni.

“L’après-midi du vendredi qui est chez les juifs le commencement du saint jour du sabbat elle se fasait belle et ornée ma mère. Elle mettait sa solennelle robe de soie noire et ceux de ses bijoux qui lui restaient encore (…) Elle avait vendu à Genève quand j’étais aux noirs hymnes indisciplinés sur ma tête et que j’avais un beau coeur quelque peu fou quoique tendre, elle avait vendu ses plus nobles bijoux dont elle était si fière, ma chérie et qui étaient si fière à sa naïve dignité de fille de notable d’un âge disparu. (…)

Il pomeriggio del venerdì che per gli Ebrei è l’inizio del santo giorno del sabato, si faceva bella ed agghindata, mia madre. Si metteva il suo solenne abito di seta nera e quei gioielli che ancora le erano rimasti (…) Lei aveva venduto a Ginevra, quando io ero ancora studente con la testa piena di neri inni indisciplinati e avevo un bel cuore, un pochino folle ma anche tenero, aveva venduto i suoi nobili gioielli di cui andava tanto fiera, il mio tesoro, e che erano necessari alla sua ingenua dignità di figlia di notabili di un’epoca scomparsa (…)

Maman de mon enfance, auprès quoi je me sentais au chaud, ces tisanes, jamais plus. Jamais plus son odorante armoire aux piles de linge à la vervaine et aux famililales dentelles rassurantes, sa belle armoire de cerisier que j’ouvrais tous les juedis et qui était mon royaume enfantin, une vallée de calme merveille, sombre et fruitée de confitures, aussi reconfortante que l’ombre de la table du salon sous laquelle je me croyais un chef arabe (…)

Mamma della mia infanzia, accanto a cui mi sentivo caldo, le sue tisane, mai più. Mai più il suo armadio odoroso con le pile di biancheria alla verbena e con i familiari, rassicuranti pizzi, quel bell’armadio di ciliegio che aprivo il giovedì e che era il mio regno infantile, una valle di calma meraviglia, buio e profumato di marmellate, confortevole quanto l’ombra della tavola del salotto sotto la quale mi credevo un capo arabo.

Louange à vous, mères de tous les Pays, louanges à vous en votre souer ma mère, en la majesté de ma mère morte. Mère de toutes la terre, Nos Dames les mères, je vous salue, vieilles chéries, vous qui nous avez appris à faire les noeuds des lacets de nos souliers, qui vous avez appris à nous moucher, oui, qui nous avez montré qu’il faut soiffler dans le mouchoir et y faire feufeu (...) vous qui nous nettoyeait nos genoux terreux et écorchées et nos salles petits nez de marmots morveux (…) je vous salue majestés de nos mères. Je vous salue mère plein de grâce, courage et bonté, chaleur et regard d’amour (….) mère qui nous pardonnez tous et caresser nos fronts de vos mains flétries, mères qui nous attendez, (…) mères qui êtes toujours à la fenêtre pour nous regarder partir (…) mères qui par fois me faites croire en Dieu.

Lode a voi madre di ogni paese, lode a voi in vostra sorella mia madre, nella maestà di mia madre morta. Nostre Signore le madri io vi saluto, vecchie adorate che ci avete insegnato a fare i nodi dei lacci delle scarpe, che ci avete fatto vedere che bisogna soffiarsi il naso e fare fffuuu, come dicevate voi(…) voi che pulivate le nostre ginocchia sporche di terra o sbucciate ed i nostri nasini sporchi da marmocchi mocciosi (…) vi saluto maestà delle nostre madri, coraggio e bontà, calore e sguardo amoroso (…) madri che perdonate sempre e accarezzate le nostre fronti con le vostre mani avvizzite, madri che ci aspettate (…) madri che siete sempre alla finestra per guardarci andare via (…) madri che certe volte mi fate credere in Dio.


Alkâios

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0917 – ‘La questione immorale’ di BRUNO TINTI

Vi voglio proporre la lettura dell' incipit del libro "La questione immorale" di Bruno Tinti.
Saluti e buone letture, Filippo Massacci

Il fiore d’acciaio
Quando c'erano i Faraoni c'era già la Legge. E la Legge c'era anche quando c'erano gli imperatori, i sovrani medioevali e poi quelli rinascimentali. C'è stata perfino sotto i tiranni. C'è sempre stata, anche ai tempi degli uomini delle caverne; rudimentale, imperfetta, ingiusta anche, ma sempre, da quando gli uomini hanno cominciato a vivere insieme, la Legge ha regolato i loro rapporti.
Quella che non c'è stata mai, fino a pochissimo tempo fa, fino a due secoli fa (proprio poco se paragonati ai millenni di storia umana - luminosa eccezione l'Inghilterra con la Magna Charta del 1215), è la Costituzione.
Se ci si pensa, la Legge del Faraone e quella emanata da altri come lui non è cosa che poteva lasciare tanto tranquilli; meglio di niente, va bene, ma funzionava, al massimo, se un rematore litigava con un panettiere o un contadino con un altro contadino. Perché certo, se il contadino se la prendeva con un soldato o un proprietario terriero, la Legge per lui poteva fare proprio poco, anzi per lui era proprio meglio non invocarla affatto questa Legge. Perché il Faraone l'aveva emanata per i suoi fini, non per quelli del Paese che governava; o almeno, stando bene attento che le sue ricchezze e il suo potere non ne venissero intaccati. E siccome ricchezze e potere gli derivavano dall'appoggio di altri ricchi e potenti, non proprio come lui ma comunque appartenenti alla sua stessa classe, ecco che la Legge teneva conto degli interessi e dei privilegi di questi pilastri a cui lui si appoggiava e che volentieri lo sostenevano, perché in questo modo facevano anche i propri interessi. Dunque la Legge del Faraone era, in realtà, una legge «per» il Faraone; e per la gente come lui. Serviva per controllare il popolo e sottoporlo al volere della classe dirigente. Per millenni è stato così: e, in tante parti del mondo, è ancora cosi.
Poi si è fatta strada un'idea stranissima: non va bene che il Re, il Signore, l'Imperatore, il Tiranno, insomma questo Faraone, possa fare quello che vuole. Perché, se è una brava e onesta e capace persona andrà pure bene. Ma se è disonesto, incapace e magari anche criminale, le leggi che imporrà saranno un male per il Paese; cercherà privilegi e ricchezze, legittimerà le sue prepotenze e quelle dei suoi amici, insomma sarà un tiranno. E nessuno può sapere se domani arriverà a governare il Paese proprio uno cosi. Ecco, si è pensato, occorre una legge speciale, una legge che non sia diretta al Popolo ma al Re; una legge che non serva solo a regolamentare i rapporti dei Cittadini tra loro e che invece regolamenti i rapporti tra il Re e i Cittadini. Ecco, ci serve una Costituzione.
Nel 1215 Giovanni Senza Terra si impegnò a non imporre tasse senza il consenso del Parlamento. Pensate, un Re che accetta di farsi controllare i cordoni della borsa dal Popolo; beh, non proprio dal Popolo perché allora il Parlamento era formato dai Baroni, ma insomma da gente che poteva anche non essere (e infatti in gran parte non era) amica sua. Si impegnò anche a non imprigionare nessuno senza un regolare processo; che era altra cosa assolutamente assurda per quei tempi, quando l'ultimo dei potenti poteva sbattere in prigione qualsiasi cittadino senza dirgli nemmeno perché.
Passò molto tempo prima che l'idea della Legge che regolamentasse il potere di chi governa venisse accettata; come ho detto, lo Stato, così come lo conosciamo noi, è una conquista recente. Ma alla fine, nel mondo occidentale moderno, gli Stati, chi prima, chi dopo, si sono dati una Costituzione.
La nostra è proprio giovane; è entrata in vigore il 1° gennaio del 1948. Ed è una Costituzione bellissima.
È nata, la nostra Costituzione, da tanti errori, tanta sofferenza, tanti lutti. È nata dal sacrificio di tanti cittadini, dall'impegno di tanti superstiti, dalla maturità di un Paese finalmente diventato adulto. È nata soprattutto come una conquista condivisa da tutti, dopo un lavoro che ha accomunato guerrieri, filosofi, politici, giuristi che hanno collaborato senza riserve e con un obiettivo comune: fare dell'Italia un Paese prospero, pacifico e giusto. Come poteva non essere bellissima?
Naturalmente la Costituzione italiana non è solo bellissima; è anche un capolavoro di ingegneria giuridica che, questo è il punto, garantisce i cittadini dagli abusi del potere. E questo lo fa adottando i principi fondamentali più avanzati che il mondo conosca: pensate alla bellezza del principio - tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla Legge, senza distinzioni di sesso, razza, religione, opinioni politiche. Pensate quale conquista sociale rappresenti il principio - tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla Legge. Pensate di quale tranquilla sicurezza possono godere i cittadini per via del principio - i Giudici sono soggetti soltanto alla Legge. E pensate finalmente quanto sia importante aver integralmente adottato la teoria di Montesquieu, la divisione dei poteri: esecutivo (il Governo), legislativo (il Parlamento) e giudiziario (la Magistratura).
Ecco, già solo così la nostra Costituzione si rivela per quello che è: uno scudo a difesa dei cittadini, uno scudo contro il Faraone. La Legge è eguale per tutti; nessun potere controlla interamente lo Stato. Non sono possibili abusi: chi governa lo fa secondo le leggi emanate da chi legifera; e la corretta applicazione della Legge spetta a chi non l'ha fatta. Un equilibrio perfetto..............

0918 - Sopra tutti e tutto la luna .. LEOPARDI, FERLINGHETTI, DE SIGNORIBUS

....curiosando nella mia libreria, che mi piace chiamare biblioteca , sezione poesia ho sfogliato i numeri di Hortus una rivista di poesia e arte di oltre 20 anni fa dove ho letto i primi scritti di De Signoribus e allora sono andato indietro nel tempo e ho riletto le poesie di Giorgio Voltattorni di Cupramarittima uno dei curatori della rivista, il poeta muratore come diceva lui ! e Piersanti, D'Elia, Scarabicchi e tanti altri.
Una generazione di poeti marchigiani straordinari.
Hortus con le copertine disegnate da Carlo Marchetti e Paolo Annibali.

Poi mi sono trovato in mano un volumetto con la copertina gialla (ed. num. di Scheiwiller)
" Il tempo scorre altrove " le poesie di Acruto Vitali di Porto san Giorgio,con una sua dedica, che a metà degli anni 70 mi parlò di Licini e dei suoi angeli ribelli e di amalasunte (aveva a casa qualche suo dipinto erano amici di famiglia).

Ad un certo punto, non so come, mi è venuto in mente Ferlinghetti , proprio lui quello della Beat Generation, l' editore, nel 1956, di Urlo di Gindsberg, quello della libreria City Light di San Francisco, forse il piu grande poeta vivente mentre pensavo a "Istmi e chiuse" di De Signoribus.
Una mattina di tanti anni fa Ferlinghetti era su un treno che lo portava verso il nord, ho letto da qualche parte che, per qualche motivo, il treno si è fermato poco dopo la stazione di Grottammare; proprio in un punto dove la collina è separata dal mare, dalla statale e dalla ferrovia, che sembrano sovrapporsi; nel mare, i massi di una antica frana. Era l' alba e me lo immagino ad osservare il mare e le colline e il silenzio.... e leggete un pò cosa ne è venuto fuori! Che strani percorsi ! Ora mi fermo a scrivere e torno a leggere ...

saluti e buone letture
Filippo Massacci


Giacomo Leopardi
CANTO NOTTURNO Dl UN PASTORE ERRANTE DELL' ASIA

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli? ............................

La luna
O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l’anno, sovra questo colle
io venia pien d’angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita: ed è, né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l’etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l’affanno duri

Eugenio De Signoribus
Puri occhi vibranti
santi nel vostro ascolto!
voi siete l'inatteso
che fionda in interiore
e lì, in chiuso dove,
sfiora una dura piaga
di semi inaffrancati
nell'evo non redento
e ora da voi toccati
fanno tormento e pianto ...
ma dalla piega atroce
si muove un fronte interno
e viene verso voi
con una voce spoglia
malferma ma fedele
- risalirò la soglia
e guarderò la riva
-------------------
(dopo verso prima)

arrivato a un punto detto «fine»
alla vista di chiare e più rovine
risalire per righe roghi e rampe
l’incasato, detto tra le vampe
«libro»
e a ritroso tra sfogli sfrisci e sfanghi
risegnare le stampe del passaggio
così che il cancellato sembri il nulla
e invece è quello che può essere:
culla
d'un viaggio verso il proprio inizio,
idea fattrice, sito,
della parola salva,
scampata nell' andata e del ritorno
matrice…
e ora salga pure 1'alta
altissima marea

Lawrence Ferlinghetti
Grottammare

Il mare turchese al largo di Grottammare
Grottammare e le sue caverne marine piene di echi
oltre l'Adriatico
L'eco del canto delle sirene
mi arriva ancora
all'interno del treno silenzioso

Ancora una volta le voci perdute
chiamano dalle
profondità del mare
Ma
naturalmente
è tutta un'illusione
La nebbia aleggia greve
tra gli ulivi
Secondo l'orologio è già mattina
ma non secondo la luce
che esiste solo nelle nostre menti
Uomini e donne dormono
nella loro solita tenebra
Solo la luce
addormentata nei loro occhi
ci da un presagio
di un futuro
irridescente
di un destino incandescente
Mentre in distanza
oltre l'isola lontana
il mare rimanda
la sua turchese risposta

Grottammare

Turquoise sea off Grottammare
Grottammare and its sea-caves echoing
beside the Adriatic
Echo of siren song
still reaches me
inside the silent train

Once more the lost voices
calling
undersea

Ah but
naturally
it is all illusion
The fog lies heavily
in the olive trees
Morning is made by the clock
and not by light
which only exists in our minds
Men and women sleep
in their usual darkness
Only the light
asleep in their eyes
gives any hint
of an iridescent future
of an incandescent
destiny While far out beyond the far islands the sea sends back its turquoise answer
0919 – ‘Persuasion’ di JANE AUSTEN

Ora la proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Michela .
"Persuasion" di Jane Austen.

Persuasion, 1818 è un romanzo della scrittrice inglese Jane Austen, pubblicato postumo dal fratello e composto tra il 1816 e il 1817. È l'ultima opera completa scritta poco prima dell'aggravarsi della malattia che la porterà alla morte nel luglio del 1817. Il titolo del romanzo si riferisce alla persuasione che ha subito Anne Elliot nel rifiutare il Capitano Wentworth e a quella che gli altri personaggi del romanzo subiscono o rifiutano di subire. Il titolo del romanzo non fu scelto dalla scrittrice, la scrittrice morì prima di pubblicare il libro.

Anne, all’età di diciannove anni, ha commesso l’errore di rompere il fidanzamento con il giovane ufficiale di marina di cui era innamorata perché socialmente inferiore. E questo ha causato la sua infelicità. Si è infatti lasciata persuadere dall’opposizione del padre Sir Walter e dell’amica di famiglia Lady Russell. La protagonista è posta davanti all'alternativa tra solitudine e matrimonio.
Passano 8 anni e Anne ne ha 27 anni, è nubile, malinconica, mite e giudiziosa, non viene presa in considerazione dal padre e dalla sorella maggiore perché ritenuta inutile e insignificante, ma è l'unica ad essere dotata di grande sensibilità e intelligenza. Sir Walter, spendaccione e incapace di amministrare il suo patrimonio, si trova sul lastrico e per ridurre le spese, e dietro consiglio del suo agente, Mr.Sheperd e dell'impicciona Lady Russel è costretto ad affittare la tenuta di Kellynch Hall. La casa viene affittata dall'ammiraglio Croft e da sua moglie. Anne viene messa in agitazione dalla scoperta che Mrs.Croft è la sorella del capitano Frederick Wentworth, il suo grande e mai dimenticato amore. All'arrivo dei nuovi affittuari sir Elliot ed Elisabeth partono per Bath, mentre Anne si reca, per un certo periodo, a casa di Charles e Mary Musgrove (sempre in preda alle sue crisi di autocommiserazione) per aiutarla con i bambini, e qui conosce le sorelle del cognato, Louisa e Henrietta. Quando Frederick si reca in visita dalla sorella si unisce alla compagnia. Con il suo atteggiamento gentile e simpatico conquista subito le due sorelle Musgrove.
E Anne? Anne è imbarazzata dalla sua presenza e evita di rivolgergli la parola e anche lui adotta un atteggiamento simile nei suoi confronti.
“Le ore mattutine del Cottage, rispetto a quelle dell'altra casa erano meno precise, e il giorno dopo la differenza era così grande che quando Mary e Anne avevano appena iniziato a far colazione Charles entrò per dire che stavano per partire, che era venuto per prendere i cani, che le sue sorelle lo seguivano, assieme al Capitano Wentworth, perché volevano fare visita a Mary e al bambino, e che anche il Capitano Wentworth desiderava farle visita per qualche minuto, se non recava disturbo, e sebbene Charles gli avesse assicurato che le condizioni del bambino lo consentivano, il Capitano Wentworth non si era convinto e lo aveva mandato avanti per avvertire. Mary, molto lusingata dell'attenzione, fu felicissima di riceverlo, mentre Anne fu invasa da mille sentimenti, dei quali il più consolante era che presto tutto sarebbe finito. E così accadde. Dopo due minuti dall'annuncio di Charles, gli altri fecero il loro ingresso nel salotto. Gli occhi di Anne quasi si incontrarono con quelli del Capitano Wentworth; un inchino, una riverenza; udì la sua voce; parlava con Mary, e le disse quanto doveva dire; disse qualcosa alle sorelle Musgrove, sufficiente q rivelare che esisteva una certa familiarità: la stanza le pareva affollata, affollata di persone e di voci, ma dopo pochi minuti tutto era finito. Charles apparve alla finestra, tutto era pronto, il visitatore aveva fatto l'inchino e se ne era andato; anche le sorelle Musgrove se ne erano andate decidendo all'improvviso di proseguire a piedi accompagnando i cacciatori fino alla fine del villaggio; la stanza era vuota e Anne avrebbe potuto finire la sua colazione, se fosse stata in grado di farlo. "È finita! È finita!" ripeteva a se stessa continuamente con gratitudine nervosa. "Il peggio è passato!" Mary parlava, ma non riusciva a seguirla. Lo aveva visto. Si erano incontrati. Si erano trovati ancora una volta nella stessa stanza. “
Alcuni giorni dopo la compagnia decide di fare una gita di alcuni giorni a Lyme, dove si aggiungono il capitano Harville e il capitano Benwick, amici di Wentworth. Durante una passeggiata in città, Anne suscita lo sguardo ammirato di uno sconosciuto e anche Wentworth, accortosi del fatto, inizia a rendersi conto della sua bellezza…
Virginia Wolf chiamata a scrivere l'introduzione del romanzo scrive di esso: "Ci sono una bellezza e un 'ombra particolari in Persuasione. La scrittrice sta cominciando a scoprire che il mondo è più grande, più misterioso, più romantico di quanto aveva creduto. Sentiamo che è vero anche per lei quello che aveva scritto della sua protagonista, Anne: "Era stata costretta ad essere prudente da giovinetta, ma crescendo aveva imparato ad essere romantica: naturale conseguenza di un inizio innaturale” piena del genio, della veemenza, dell'indignazione di Charlotte Brontë."

Anne ha la sua seconda occasione di essere felice. La sua trasformazione, la sua evoluzione interna è persino accompagnata da una rinascita fisica. La ragazza, all’inizio “ pallida e magra”, la cui giovanile bellezza era presto svanita, comincia a riacquistare le attrattive di un tempo suscitando l’interesse e l’ammirazione di chi la circonda. Fascino e intelligenza in una donna del 1800 svincolata ormai da una condizione di subordinazione senza però mai perdere quell’ideale di decoro e compostezza. E' la narrazione di un amore che non si spegne né con il passare del tempo, né con il cambiamento degli stati interiori, e che porta alla felicità la protagonista, una tipica figura di donna tanto intelligente quanto emancipata, una tipologia femminile estremamente attuale. Ma questa è anche una storia che parla dell'aristocrazia britannica e del suo anacronismo, della spiccata vetustà di certi modi, di un comportamento sociale che già secoli fa mostrava il suo carattere arcaico e rigidamento pregiudiziale, almeno agli occhi dell'autrice, una donna che prima ancora di essere scrittice voleva vivera la sua femminilità in un modo che non fosse solamente lo stereotipo mondano della madre-moglie-signora. Emerge il ritratto della provincia inglese di inizio Ottocento, delle convenzioni, dei divari di una società interessata solo al denaro e alla finta rispettabilità, e un'intensa polemica antiaristocratica. In quegli anni, infatti, la cultura e la società inglese subiscono grandi cambiamenti. Dopo essere passata tra la parodia, il burlesque, la commedia degli equivoci, approda alla forma del romance che stava prendendo forma in quegli anni. Infatti, in questo genere, è la vita sentimentale ed emotiva della protagonista ad essere centro del vicenda ed in particolare questo romanzo narra sia la storia d'amore sia l'evoluzione personale di Anne.
Proprio a lei, la timida e riservata Anne, Jane Austen fa pronunciare le parole più esplicite che l'autrice abbia scritto in difesa della condizione femminile.

“Spero di rendere giustizia a tutto ciò che lei prova e che provano quelli come lei. Dio non voglia che io sottovaluti i sentimenti d’amore e fedeltà dei miei simili. Meriterei totale disprezzo se osassi affermare che solo le donne son capaci di provare vero affetto e di essere costanti. No, io credo che siate capaci di tutto ciò che è importante e onesto nella vita matrimoniale. Credo che possiate essere all’altezza di ogni sforzo e di molta tolleranza nella vita domestica, finchè – se mi è concessa l’espressione – finchè avete uno scopo, almeno, cioè, finchè la donna che amate vive e vive per voi. Il privilegio che rivendico per il mio sesso ( non è certo invidiabile, non c’è bisogno che lo agognate) è che sappiamo amare di più, anche quando l’esistenza e la speranza sono finite”.

È il romanzo più romantico ma anche malinconico dell'autrice inglese, una lettura piacevole e scorrevole. Ha uno stile immenso e impareggiabile, l'incredibile capacità di catapultare in quel periodo, di far vivere la storia che viene raccontata come se fossi lì, spiando di nascosto ciò che accade, e di delineare con pochi tratti (spesso taglienti e ironici) i personaggi, con i loro pregi e difetti.
Michela
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0920 – ‘Orgoglio e pregiudizio’ di JANE AUSTEN

Ora la proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Sara A.

“È un fatto universalmente noto che uno scapolo provvisto di un cospicuo patrimonio non possa fare a meno di prendere moglie. Per poco che si conoscano i sentimenti o le intenzioni di un uomo ricco e senza moglie al momento del suo primo apparire in un certo luogo, questo fatto è così radicato nella mente delle famiglie del vicinato, che egli viene considerato legittima proprietà dell'una o dell'altra delle loro figliuole.”
Cose d’altri tempi, verrebbe da dire, discorsi possibili solo in un romanzo di Jane Austen del 1800! Ma ne siamo sicuri? Siamo veramente sicuri di esserci tanto evoluti?
Alla vista di un ragazzo che chiacchera in modo amichevole con una ragazza, non è forse opinione comune pensare subito che ci sia un interesse da parte dell’uno o dell’altra? Perché è scontato che un celibe /una nubile (come diciamo oggi, single) sia perennemente e costantemente in cerca di una compagna/compagno! Oggi, come allora, il fatto è “universalmente noto”!
Sin dall’incipit di “Orgoglio e pregiudizio” si può trovare un’associazione con il mondo attuale, che prosegue con un parallelismo nel corso di tutto il romanzo.
Orgoglio e Pregiudizio può sembrare ad un occhio superficiale, la classica storiella d’amore fra un uomo ricco e una fanciulla con poca dote, con tutte le conseguenze del caso; uno spaccato che analizza ed evidenzia le differenze sociali. Ma non è così, la Austen va ben oltre!
Le due figure dell’uomo e della donna vengono, forse per la prima volta, messe alla stesso livello: e non voglio rifarmi a nessuna teoria femminista, mi riferisco al livello dei sentimenti, allo stesso sentire. Entrambi i protagonisti sono permeati dall’orgoglio e dal pregiudizio, in alternanza. Prima è lui, Mr Darcy, a mostrare uno smoderato orgoglio provocando per questo pregiudizi in Elizabeth, poi è lei ad esternare l’orgoglio perché ferita dai pregiudizi di lui nei suoi confronti.
Questi sentimenti, che esistono da sempre, possono essere superati se si va oltre le apparenze, oltre le prime impressioni (guarda caso “prime impressioni” era proprio il titolo della prima versione del romanzo), se si cerca di capire l’altro, se si cerca di ascoltarlo e di avere più di fiducia nei suoi confronti! E’ questo il messaggio fondamentale, ed è un messaggio che a distanza di due secoli, sembra non ancora filtrato nella testa e nel cuore delle persone! Le problematiche relative ai tanti pregiudizi ed all’orgoglio individuale sono ancora estremamente attuali, ed ecco quindi come Elizabeth e Mr. Darcy diventano due “eroi” del nostro tempo: persone animate dai più nobili sentimenti (e non mi riferisco al classico buonismo, ma a sentimenti come la dignità, l’onestà, il dare importanza alla parola data, il voler proteggere le persone amate, il non voler far del male volutamente agli altri) che cercano di superare i propri limiti ed i propri difetti, ognuno a suo modo ed in base al proprio temperamento; come a voler dire: non servono chissà quali miracoli per cambiare il mondo, a volte basta lavorare un po’ su se stessi e cambiare prospettiva e tutti i tasselli trovano il loro posto!
Non c’è messaggio più positivo, ma nella realtà quotidiana non è poi così scontato! I buoni principi attualmente sembrano molto svalutati e si ha bisogno di credere e di sperare che esista qualcos’altro dietro tanto apparire e tanta insicurezza di base che sembra circondare tutti noi! E quando si sta per perdere il filo, è una consolazione sapere che basterà immergersi in un romanzo come questo per riprendersi un po’ e ritrovare quei sentimenti a cui, nonostante le apparenze, credo o forse voglio credere, ogni essere umano nel proprio intimo anela.

Riporto uno stralcio che descrive l’atteggiamento che i due protagonisti hanno in tutto il romanzo: lui fiero, e lei ironica. Qui si trovano ospiti nella dimora d Mr Bingley e conversano con Miss Bingley, sorella del padrone di casa.

Miss Bingley: «Miss Eliza Bennet, non vorreste fare anche voi un giro per la stanza? Vi assicuro che è un grande sollievo dopo essere rimasti seduti a lungo nella stessa posizione.»
Per quanto sorpresa Elizabeth acconsentì senza esitare. Miss Bingley non riscosse minor successo in quello che era il vero scopo della sua proposta: Mr Darcy alzò lo sguardo. Quella inattesa cortesia lo aveva colpito quanto aveva colpito Elizabeth, e chiuse il libro senza pensarci. Fu immediatamente invitato ad unirsi a loro ma declinò l'invito perché, disse, per due soli motivi poteva immaginare che si fossero messe a passeggiare insieme per la stanza, e in ogni caso la sua presenza sarebbe stata di troppo.
‹Che intendeva dire? Moriva dalla voglia di saperlo; e lei, Elizabeth, era riuscita a capire qualcosa?›
«Niente di niente,» fu la risposta; «ma una cosa è certa, che ha intenzione di mortificarci, e il modo migliore di fargli dispetto è quello di non chiedergli nulla.»……….«Inaudito!» strillò Miss Bingley. «Si è mai sentita una nefandezza simile? Come faremo a punirlo quanto merita?»
«Niente di più facile, purché ve la sentiate,» disse Elizabeth. «Tormentare e punire è sempre possibile. Stuzzicatelo, ridete di lui. Con la confidenza che avete, dovreste sapere come fare.»
«No che non lo so, parola d'onore. Vi assicuro che la nostra intimità non è giunta al punto d'insegnarmi una cosa simile. Stuzzicare un carattere così fermo, una mente così pronta! No, no: sarebbe capace di tenermi testa, lo sento. Quanto a ridere di lui, vi prego, non esponiamoci al rischio di ridere senza motivo. Mr Darcy ha tutte le ragioni di essere fiero di sé.»
«Non poter ridere di Mr Darcy!» esclamò Elizabeth. «È un privilegio non comune, e voglio sperare che continui a rimanere tale. Sarebbe una grossa perdita, per me, avere molte conoscenze come lui. Apprezzo il piacere di una bella risata.»
«Miss Bingley,» rispose Darcy, «mi dà più credito di quanto non meriti. I migliori e i più saggi degli uomini, anzi, le più sagge e le migliori delle loro azioni possono far ridere chi non abbia altro di mira che il ridicolo.»
«Naturalmente,» rispose Elizabeth, «persone così se ne trovano, ma mi auguro di non essere di quelle. Spero di non trovare mai da ridere su ciò che vi è di serio e di buono. Assurdità, sciocchezze, capricci e leggerezze: queste sono le cose che mi divertono, e appena posso ci rido sopra. Ma a quanto pare sono proprio le cose che voi non avete.»
«Forse non può dirsi così di tutte. Ma mi sono sempre studiato di evitare quelle debolezze che espongono al ridicolo uomini di grande valore.»
«Come la vanità e l'orgoglio.»
«La vanità è una debolezza, siamo d'accordo. Ma l'orgoglio... là dove c'è una vera superiorità di intelletto, l'orgoglio sarà sempre al suo posto.»
Elizabeth si voltò per nascondere un sorriso.
«Mi pare che l'esame di Mr Darcy sia finito,» disse Miss Bingley; «posso chiedervi qual è il risultato?»
«Mi sono definitivamente convinta che Mr Darcy è senza difetti. Lui stesso lo riconosce senza reticenze.»
«No,» fece Darcy, «non ho questa pretesa. Ho difetti quanti bastano, ma voglio sperare che non siano difetti di intelletto. Quanto al mio carattere, non me la sentirei di raccomandarlo. Direi che è troppo poco accomodante, al meno per l'onore del mondo. Non sono capace di dimenticare presto, come dovrei, le follie ed i vizi degli altri, e nemmeno le offese fatte a me stesso. I miei sentimenti non ubbidiscono ad ogni tentativo di suscitarli. Ho un carattere che si potrebbe definire risentito. E la mia stima, una volta persa, è persa per sempre.»
«Questo sì che è un difetto,» esclamò Elizabeth. «Il risentimento implacabile nuoce al carattere. Ma avete scelto bene il vostro difetto. Non ci trovo proprio niente da ridere. Per me, siete salvo.»
«A mio parere c'è in ogni temperamento la tendenza a qualche difetto particolare; è un'imperfezione di natura che non si vince nemmeno con la migliore educazione.»
«E il vostro difetto è la propensione ad odiare il prossimo.»
«E il vostro,» rispose Darcy con un sorriso. «è di ostinarsi a fraintenderlo.»

SARA A.
0921 - ‘L’uomo che credeva di non avere più tempo’ di GUILLAUME MUSSO

Ora la proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Patty.


Ciao amici di leggere54, voglio proporvi un bel libro ricco di sentimento che consiglio vivamente di leggere, molto scorrevole e davvero emozionante.

"L'UOMO CHE CREDEVA DI NON AVERE PIU' TEMPO" Guillaume Musso


Nathan Del Amico è uno degli avvocati più famosi della città,ma la sua carriera lo ha fatto separare dalla moglie. E' un uomo solo ormai.«Un uomo che dorme senza nessuno di fianco e che non vede la propria figlia da tre mesi è un fallito,anche se ha un bel conto in banca»

Un giorno riceve una visita inaspettata: un uomo che non ha mai visto prima, Garrett Goodrich, si presenta nel suo ufficio. Sostiene di essere in grado di riconoscere le persone prossime alla morte e di avere una missione da compiere. Dichiara di essere lì per lui per aiutarlo...... Gli parla di un gruppo di uomini che hanno il suo stesso potere chiamati "Messaggeri".

«Sia ben chiaro,Garret:non le credo assolutamente. Tutto quello che mi ha detto, tutte le sue chiacchiere a proposito della morte e dei Messaggeri. Non credo a una sola parola.
Garrett_Oh,la capisco!Chi crede di controllare la propria esistenza non ha certo voglia di veder vacillare le proprie certezze.
Nathan_Tra l'altro,ci tengo a farle sapere che godo di eccellente salute. Spiacente per lei,ma credo che si sia sbagliato:non sto affatto per morire. Mi sono persino preso qualche giorno di vacanza.
Garret_Ne approfitti. Penso dovrebbe far visita a Candice. Una giovane donna che lavora come cameriera in un coffee shop del centro dove mi fermo qualche mattina.
Nathan_E allora?Intende dire che quella cameriera sta per...
Garret annuì»

In una frenetica corsa contro il tempo, Nathan è costretto ora a rimettere in discussione tutte le sue scelte, a porsi domande troppo a lungo rimandate su quel che più conta nella vita, a riscoprire emozioni e rendersi infine conto che poche sono le cose che valgono davvero.

«E se,malgrado tutto, l'uomo non si riducesse solo al suo involucro di carne?Se ci fosse qualcos'altro?Un mistero. Se esistesse davvero una forza dissociata dal corpo?Un'anima»

Così cerca di recuperare il rapporto perduto con la moglie,vuole trascorrere più tempo con la figlia e aiuterà il suocero in una situazione scomoda che mai avrebbe fatto per lui prima.

«Ma cosa ci faccio qui da solo, accasciato su questo divano a rimuginare il passato,invece di essere con mia moglie e mia figlia?Sollevò il ricevitore e premette il primo numero in memoria.
Ciao Mallory(la moglie)spero di non averti disturbata?
Mallory_Che cosa vuoi Nathan?
N_Avvertirti della mia intenzione di venire a prendere Bonnie domani.
M_Cosa?Non dirai sul serio?
N_Ho preso qualche giorno di vacanza e ho bisogno di vedere Bonnie(sto per morire,tesoro)
....
Mallory_Ti sei allontanato da me,eri sempre insoddisfatto,alla ricerca instancabile della felicità perfetta. Ma noi l'avevamo quella felicità e non te ne rendevi conto .
Nathan_So tutto Mallory. Tutto quello che mi hai appena detto: che la felicità non si riduce al benessere materiale. Che la felicità è innanzitutto condivisione dei piaceri e dei problemi...So tutto adesso.»

Tra domande sulla vita e la morte,arriva un finale tanto inaspettato quanto commovente.


Questo racconto mostra i sentimenti e le sensazioni di una persona che , nel corso della vita, si è perso nelle cose banali che ci propone il mondo d'oggi. Quando quelle che credeva essere le sue certezze crollano,riusce a tornare ad apprezzare le piccole cose. Rimettere priorità nella sua vita.
Voi che cosa fareste se un giorno qualcuno, uno sconosciuto, vi dicesse che non avete più tempo? Che la vostra ora è arrivata? Programmare il proprio tempo che ancora ci rimane?Tante cose ancora da fare, molte quelle che vorresti fare e tanto meno quelle che invece non farai mai...
Basterebbe trovare il giusto modo di vivere,assaporando la vita in ogni istante nella sua unicità ed irrepetibilità."Vivi ogni giorno come se fosse l'ultimo''
Molto spesso non ci accorgiamo che la felicità è proprio sotto i nostri occhi,ma la ricerchiamo chissà dove. Un invito ad appassionarsi alla propria vita che si sta percorrendo perchè nulla è scontato o dovuto. Soprattutto dimostrare alle persone a cui teniamo quanto sono importanti per noi con un gesto,una parola,un abbraccio.

Saluti e buona lettura

Patty

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KD HOSSEINI

Ora la proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Rosita .

Khaled Hosseini è uno scrittore nato a Kabul nel 1965. Dopo l’invasione della Russia nel 1978 , ha ottenuto asilo politico negli Stati Uniti, dove si è trasferito con la famiglia. Si è laureato in medicina e vive attualmente a San José (California) con moglie e figli. Ha scritto il suo primo romanzo “Il cacciatore di aquiloni” nel 2003, un successo spontaneo e inatteso, diventato straordinario caso editoriale , tradotto in più di trenta paesi. Solo in Italia ha venduto un milione di copie.

“MILLE SPLENDIDI SOLI”
Il romanzo è ambientato in Afghanistan, dove, l’arrivo dei russi prima, e dei talebani poi, sconvolge la vita di un popolo e la travolge con tutte le crudeltà possibili. In mezzo a questo scenario i destini di due donne si incontrano e provocano un meraviglioso intreccio di emozioni dove dolore assoluto si alterna a tenerezza e delicatezza di immagini imprevedibili.
Il “dialogo-monologo” tra Mariam e la piccola Aziza di pochi mesi è un esempio di questi momenti dolcissimi che più mi hanno commosso.
(Mariam non può credere che una harami (bastarda) possa essere oggetto di amore; sapere che c’è qualcuno che la cerca, le sorride, le dona amore gratuito, provoca in lei un senso di meraviglioso sgomento…. lei che è stata sempre considerata una nullità…possibile che qualcuno l’ami davvero?).
Spesso l’Afghanistan è conosciuto solo ed esclusivamente per la guerra che continua a devastare terra e popolo, e alcuni nomi di città come Kabul o Herat sono legati a bombe e stragi… Non ci viene in mente che un tempo sulle colline di Herat esistevano alberi giganteschi e prati fioriti, e non riusciamo ad immaginare che, quando nevicava, i tetti bianchi di Kabul formavano un paesaggio incantato…Mi è piaciuto conoscere il Paese anche da un punto di vista non giornalistico e mi sono resa conto che la gente afghana soffre ancora ..
Ed ecco alcuni brani tratti dal libro:
..... la osservava da vicino, il ciuffo di capelli scuri, le ciglia
folte, gli occhi nocciola, le guance rosee e le labbra rosse
come melagrane mature.

Mariam ebbe l'impressione che anche la bambina la
stesse esaminando. Era stesa supina, la testa piegata di
lato, e la guardava attentamente con un misto di divertimento,
confusione e sospetto. Si chiese se per caso il suo
viso non la spaventasse, ma la bambina lanciò un gridolino
felice e Mariam capì che era stato emesso un giudizio
favorevole nei suoi confronti. .......

....... Non appena Mariam la prendeva in braccio, Aziza s'infilava
il pollice in bocca e le affondava il viso nel collo.
Mariam la faceva saltellare su e giù con mosse rigide,
trattenute, mentre sul suo viso si dipingeva un sorriso fra
il disorientato e il riconoscente. Mai nessuno l'aveva desiderata
con tanta intensità. Mai aveva ricevuto una dichiarazione
d'amore così disinteressata, così incondizionata.
Aziza la commoveva sino alle lacrime.
«Perché hai affidato il tuo cuoricino a una vecchia strega
brutta come me?» mormorava tra i capelli della piccola.
«Eh? lo non sono nessuno, capisci? Una dehati. Cos'ho
da offrirti io?» .......

.......... Dall’una e dall’altra riva del fiume Kabul, le fazioni nemiche si lanciavano
contro scariche d'artiglieria. Le strade erano disseminate
di cadaveri, vetri e rottami di metallo accartocciati.
C’erano saccheggi, uccisioni e, sempre più spesso, stupri, che
venivano usati sia per intimidire i civili sia per ricompensare
i miliziani. Mariam aveva avuto notizie di donne che
si erano suicidate per paura di essere stuprate e di uomini
che, in nome dell'onore, erano pronti a uccidere mogli
e figlie se fossero state stuprate da miliziani. .
Aziza strillava quando sentiva i colpi di mortaio. Per
distrarla, Mariam stendeva grani di riso sul pavimento in
modo che formassero la figura di una casa, di un galletto
o di una stella e poi lasciava che la bambina sparpagliasse
i chicchi. Disegnava per lei elefanti come un tempo le aveva
insegnato Jalil, con un solo tratto, senza mai staccare la punta
della penna. .........

....... Il giorno successivo, Kabul fu invasa dai camioncini
dei talebani. A Khair khana, a Shar-e-Nau, a Karteh Parwan,
a Wazir Akbar Khan e a Taimani, Toyota rossi
scorrazzavano per le strade, carichi di uomini barbuti in
turbante nero. Su ogni pick-up, un altoparlante trasmetteva
annunci a tutto volume, prima in farsi e poi in pashtu.
Lo stesso messaggio risuonava dall'alto delle moschee e
veniva trasmesso alla radio, che ora si chiamava La Voce
della Sharia. Il comunicato era scritto anche su volantini
che venivano lanciati per le strade. Mariam ne trovò
uno in cortile.
Il nome del nostro watan è ora Emirato Islamico dell'Afghanistan.
Queste sono le leggi che noi applicheremo
e alle quali siete tenuti a obbedire.
Tutti i cittadini devono pregare cinque volte al giorno.
Se durante l'ora della preghiera verrete sorpresi in altre
attività, sarete bastonati.
Tutti gli uomini devono portate la barba. La lunghezza
prescritta è di almeno un palmo sotto il mento. Se non vi
conformerete a questa disposizione, sarete bastonati.
Tutti i ragazzi devono portare il turbante. Gli scolari
delle scuole elementari porteranno il turbante nero, quel-
li delle scuole superiori bianco. Tutti gli studenti devono
indossare abiti islamici. Le camicie devono essere abbottonate
sino al collo.
È proibito cantare.
È proibito danzare.
È proibito giocare a carte, giocare a scacchi, giocare
d’azzardo e far volare gli aquiloni
È proibito scrivere libri, guardare film e dipingere.
Se tenete in casa dei parrocchetti, sarete bastonali e i
vostri uccelli verranno uccisi.
Se rubate, vi sarà tagliata la mano al polso, se tornate a
rubare vi sarà tagliato il piede.
Se non siete musulmani, non dovete praticare la vostra
religione in luoghi dove potete essere visti da musulmani.
Se disubbidite, sarete bastonati e imprigionati. Se verrete
sorpresi a convertire un musulmano alla vostra fede
sarete giustiziati.
Donne, attenzione:
Dovete stare dentro casa a qualsiasi ora del giorno.
Non è decoroso per una donna vagare oziosamente per
le strade. Se uscite, dovete essere accompagnate da un
mahrarn, un parente di sesso maschile. La donna che
verrà sorpresa da sola per la strada sarà bastonata e
rispedita a casa.
Non dovete mostrare il volto in nessuna circostanza.
Quando uscite, dovete indossare il burqa. Altrimenti
verrete duramente percosse.
Sono proibiti i cosmetici.
Sono proibiti i gioielli.
Non dovete indossare abiti attraenti.
Non dovete parlare se non per rispondere.
Non dovete guardare negli occhi gli uomini.
Non dovete ridere in pubblico. In caso contrario verrete bastonate.
Non dovete dipingere le unghie. In caso contrario vi sarà
tagliato un dito.
Alle ragazze è proibito frequentare la scuola. Tutte le
scuole femminili saranno immediatamente chiuse.
Se aprirete una scuola femminile sarete bastonati e la
vostra scuola verrà chiusa.
Alle donne è proibito lavorare.
Se vi renderete colpevoli di adulterio, verrete lapidate.
Ascoltate. Ascoltate con attenzione. Obbedite. Allah-u-akbar.


Saluto gli amici di Leggere54
Rosita




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0923 –‘Shogun’ di JAMES CLAVELL

Ora la proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Martina.

Ho letto Shogun di James Clavell; un romanzo strano, catapulta in un mondo lontano da quello europeo e dà una forte percezione di una civiltà che affascina e incuriosisce.
è incredibile riscoprire come i valori e le tradizioni raccontate da JC nel giappone del 1600 siano ancora così attuali nel giappone moderno.
La cerimonia del Cha, la serenità e il potere nel riuscire a bere il "Cha che non c'è"; l'importanza della pulizia e dell'igiene con la cerimonia del bagno già quando nell'unico mondo civile conosciuto, si viveva nella sporcizia.
La fedeltà dei samurai ai Daymo può forse essere riscontrata in altre società ma il senso dell'onore fino al seppuku che deve comunque essere meritato e autorizzato, sconvolge.
L'obbedienza è espressa a tutti i livelli della scala sociale; le donne, che appartengono prima ai padri, poi ai mariti possono sembrare impotenti ma in realtà possono guadagnare l'onore diventando samurai.
L'amore ed il rispetto sono temi attuali di una società dove ci si inchina per salutarsi, dove l'appartenenza alle classi sociali, a cui si accede per nascita, viene riconosciuta e riscontrata in ogni gesto.
Ma l'amore in senso cristiano è sconosciuto; nel matrimonio come nella vita amore è sinonimo di lealtà e dovere anche nei confronti dei propri cari.
Leggendo il libro, si vive in simbiosi con il protagonista e si assiste al suo processo di incivilimento, al suo passare dall'essere barbaro (in quanto europeo), e quindi al di sotto perfino degli Eta (ultimi nella scala sociale giapponese), al titolo di Anjin-San dove il suffisso San è un segno di rispetto ed il riconoscimento di una posizione considerevole.
E' un libro che cattura la mente e la suggestiona fino a far "vedere" con gli occhi della propria immaginazione i paesaggi descritti, gli stati d'animo narrati, le torture applicate.
E' come se si fosse presenti agli incontri tra il giovane Blackthorne e il Nobile Toranaga (Daymo), si sentisse il peso dei momenti di silenzio di quegli incontri, si valutasse insieme all'Anjin-San quali le parole migliori per non increspare il difficile rapporto che egli sta instaurando con il Daymo.
Anche nell'esprimersi c'è una regola; il fatto che il protagonista impari giorno dopo giorno a rispettarla, lo fa vivere sospeso tra la vita e la morte, una morte che teme perché vorrebbe tornare in patria, almeno nelle prime fasi del racconto.
I giapponesi invece non temono la morte in nessuna classe sociale; è un paese drasticamente in balìa della natura con terremoti e maremoti che distruggono intere città e porti, ma il pensiero della morte viene accettato con serenità. Non è rassegnazione: è Karma!
Quello che viene distrutto viene velocemente ricostruito e, di fronte allo sconforto di Blackthorne che, a causa di un incedio scaturito in seguito ad un terremoto, vede la propria casa distrutta e assiste impotente alla morte di uno tra i suoi servitori, i giapponesi mantengono calma e serenità e, domato l'incedio, avviano la ricostruzione.
Solo con serenità e accettazione della morte e del destino si raggiunge il wa, l'armonia.
Che dire? questa filosofia rappresenta una valida via di fuga da tutto quello che è stress e frenesia nella società attuale; potremmo chiamarlo credo, karma oppure destino; lo scopo è quello di trovare il modo migliore per meglio vivere e apprezzare quanto a disposizione nella vita.
davvero un bel libro!

"... Voi pensate alla realtà dentro la tazza, pensate al cha..la bevanda verde pallido degli dei. Se vi concentrate a fondo...un maestro Zen saprebbe insegnarvelo, Anjin-san. è difficilissimo e facile insieme. Come vorrei essere tanto brava da potervelo mostrare, Anjin-san! Perché allora tutte le cose del mondo sarebbero vostre...basterebbe chiederle, anche la più irraggiungibile, il dono supremo: la perfetta tranquillità"


"la memoria di Blackthorne tornò alla prigione: come era passato vicino alla morte, e come le era vicino anche adesso nonostante tutti gli onori! Toranaga può riprendersi quello che ha dato, con la stessa facilità...è il Karma. Non posso contrastare il karma...mi arrendo al karma, in tutta la sua bellezza, lo accetto in tutta la sua maestà."


Martina



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0924 - "L' eleganza del riccio" di MURIEL BARBERY

Ora la proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Elisa Marucci.


Cari Amici di Leggere54,

in questi ultimi mesi ho avuto più tempo per dedicarmi alla lettura; oltre ai gialli in lingua inglese di Agata Christie, una delle mie scrittrici preferite, ho letto tutto di un fiato "L' eleganza del riccio".
Romanzo scritto nel 2006 da Muriel Barbery, ha rappresentato in Francia una vera e propria sorpresa editoriale: ha infatti avuto 50 ristampe ed ha venduto oltre 600.000 copie, vincendo numerosi premi letterari tra i quali il Premio Georges Brassens 2006, il Premio Rotary International ed il Prix des Libraires assegnato dalle librerie francesi.
La storia ha per protagoniste due donne: Reneé Michel “semplice” portinaia del numero 7 di rue Grenelle, e la dodicenne Paloma Josse, figlia di una facoltosa famiglia che abita il condominio parigino.
A prima vista sono persone che non hanno nulla in comune fra di loro, ma in realtà celano un profondo mondo interiore: Reneè ha una cultura vastissima che spazia dall’arte alla filosofia, ma preferisce non mostrare la sua vera natura e continuare a recitare la parte della portinaia sciatta e pigra; Paloma, pur essendo molto giovane, ha una grande maturità che la porta a scontrarsi con la mediocrità della società fino a farle premeditare il suicidio.
Paloma e Reneé si incontrano e si fondono l’una nell’altra grazie a Kakuro, personaggio giapponese che saprà aprire il cuore della portinaia, farne uscire tutti i sentimenti ed i segreti più oscuri, e, insieme a lei, farà capire a Paloma qualcosa in più sulla vita, qualcosa che nemmeno l'intelletto della ragazza aveva saputo cogliere.
Questo libro mi ha fatto riflettere perché l’ho sentito attuale: penso, infatti, che ci siano tante persone vicino a noi che possano insegnarci qualcosa, arricchire la nostra esistenza, ma capita che rimangano nascoste, come un riccio protetto da aculei, per non ferirsi o per non essere etichettate come diverse, privandoci in tal modo delle loro conoscenze e dei loro sogni.
Come Renèe, i protagonisti della nostra quotidianità spesso si sentono ingabbiati in un ruolo sociale predefinito, senza vie di fuga se non in un ambito privato, che dona la completa libertà; non tutti loro hanno la forza di esprimere le proprie idee al mondo esterno, di aprirsi ad un confronto stimolante ma a tratti anche difficile e tortuoso.
Mi congedo da voi con una convinzione: che Leggere 54 rappresenti per tutti noi uno strumento, ogni giorno più forte, che ci aiuti a divulgare e a condividere il nostro “sapere”, facendoci uscire finalmente dal guscio!
Scrivo qui di seguito alcuni "momenti" del libro che mi sono piaciuti particolarmente:
"Tolti l'amore, l'amicizia e la bellezza dell'Arte, non c'è molto altro di cui la vita umana si possa nutrire" (pag.29)



LA BELLEZZA

"Nella nostra società essere povera, brutta e per giunta intelligente condanna a percorsi cupi e disillusi a cui è meglio abituarsi quanto prima. Alla bellezza si perdona tutto, persino la volgarità. E l'intelligenza non sembra più una giusta compensazione delle cose, una sorta di riequilibrio che la natura offre ai figli meno privilegiati, ma solo un superfluo gingillo che aumenta il valore del gioiello. La bruttezza, di per sé è sempre colpevole, e si è sempre più votati a quel tragico destino che a volte è la solitudine reso ancor più doloroso se si pensa che non si è affatto stupidi" (pag.39).

"Se nella scala sociale si salisse in funzione della propria incompetenza, vi garantisco che il mondo non girerebbe come gira oggi. Ma il problema non sta qui. Il significato di questa frase non è che gli incompetenti hanno un posto in prima fila, ma che non c'è niente di più duro e ingiusto della realtà umana: gli uomini vivono in un mondo dove sono le parole e non le azioni ad avere il potere, dove la massima competenza è il controllo del linguaggio. E' una cosa terribile, perchè in definitiva siamo soltanto dei primati programmati per mangiare, dormire, riprodurci, conquistare e rendere sicuro il nostro territorio, e quelli più tagliati per queste cose, i più animalesci tra di noi, si fanno sempre fregare dagli altri, cioè da quelli che parlano bene ma che non saprebbero difendere il proprio giardino, portare a casa un coniglio per cena o procreare come si deve. Gli uomini vivono in un mondo in cui sono i deboli a dominare. E' un terribile oltraggio alla nostra natura animale, una specie di perversione, di contraddizione profonda." (pag. 48-49)

Un saluto a tutti,
Elisa Marucci










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0925 – ‘L’Albero delle nebbie’ di UMBERTO PIERSANTI

Ora la proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Rossella .


Cari Amici di Leggere54,

L’Albero delle nebbie di Umberto Piersanti

E’ un libro fortemente carico di emotività, un libro dove figure, animali, piante, erbe,fiori, odori, sapori evocano non solo vicende, ricordi personali del poeta, ma catturano la sensibilità del lettore che riesce a carpire e ad isolare in un lampo, come spesso non accade, un frammento del tempo passato, una intuizione presente. Si riesce a recuperare la gioia e il dolore, la nostalgia e la tristezza fuori del tempo, si entra nell’essenza delle cose, nella realtà extratemporale in cui cresce l’ansia di afferrare l’emozione ritrovata nella figura, nel profumo dettato e rivissuto: - ….lì tra l’erbe/è memoria incarnata/ nella terra. La natura, i personaggi, sono voci antiche ma anche tracce di un passato che dialoga con il sentimento presente. Le private esperienze personali si collocano nel perimetro del dolore che vive e si intrecciano nel sentimento eterno che non si può ignorare: - ….sì, mi sei caro e molto/ma ti temo/e quando scendo giù da te,/alla lotta,bramo/una domenica pigra/tra i castagni. E’ un libro che trascina il lettore in un paradigma di intense venature percettive, intuitive e formative create con sapiente alchimia lirico-narrativa.

I fiordalisi

In questo brano di terra
che sta sopra l’antico,
scuro fosso ventoso
dei giorni miei,
remoti,
tornano i fiordalisi,
l’azzurro stelo mischiato
al rosso del papavero,
tra il grano

tirava il vento forte
e dietro padre e madre,
a passi lenti,
ma io godevo del vento
fitto tra il grano,
della morbida corsa
nel trifoglio,
e tra il lupino
acceso nei due colori,
succhiavo il gambo
dolce e zuccherato

s’era perso da tempo,
dagli anni più remoti
il fiordaliso,
e mi trasale il sangue
a quell’azzurro,
nessun fiore l’uguaglia
per la luce,
tornano le vicende
fisse nell’aria,
scende alto Madio
nel letto carro,
lunghi i capelli e sparsi
a quell’antico,
il vento li scompiglia
appena, appena,
ma non c’è il cane nero
nella sua strada,
lo sprovinglo è distante
e non minaccia,
e ride la Fenica
sopra la fonte,
la faccia luminosa,
la brocca ampia,
tutto è pace e silenzio,
anche la madre
sale lenta nei greppi,
lenta e leggera

tornano le vicende
e le figure
così chiare e perfette
disegnate,
quando s’arresta il tempo,
istante fatto eterno
e luminoso

forse un soffio di vento,
anche una nube,
o magari una bruma
da sopra i rami scesa
più densa e folta
ogni storia dissolve
e la disperde,
torna il giorno
al suo corso consueto
ma quel fiore
azzurro più dell’aria
non lo scompiglia il vento
o lo dissolve,
il suo stelo confitto
lì tra l’erbe
è memoria incarnata
nella terra

Giugno 2006

Nell’altipiano
……..
A chi nasce spetta
spezzare la dura, gelata
crosta della terra,
sempre si viene fuori
al mondo al freddo
e al gelo,
in una primavera che tarda,
stenta e desolata,
il seme che abbandona
la sua tiepida nicchia
sotto la terra …..
………………..

Marzo 2006

La domenica con Jacopo
.....
figlio, io debbo
contenere ogni tuo passo
e gesto dentro il mondo,
e il tempo non conforta,
non c'è sollievo,
questa fatica è fissa,
scorre coi giorni

sì, mi sei caro e molto
ma ti tempo
e quando scendo giù da te,
alla lotta, bramo
una domenica pigra
tra i castagni

Ottobre 2005

Saluti
Rossella

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0926 – ‘Se una notte d’inverno un viaggiatore’ di ITALO CALVINO


Ora la proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Massimiliano.

Ecco una nuova proposta per i lettori di Leggere54.

Una lettura che ha per tema la lettura, anzi un romanzo che ha per tema il romanzo. Ed a leggerlo il lettore troverà che il protagonista è proprio di lui, il Lettore (e lei, la Lettrice). Sto parlando del celebre Se una notte d´inverno un viaggiatore di Italo Calvino, "un romanzo sul piacere di leggere romanzi" come lo definì lo stesso autore. Tra le proposte di lettura, credo che questa non potesse mancare. Dieci storie che iniziano ma non finiscono, bruscamente interrotte da errori di impaginazione, più una canonica con un inizio ed una fine che fa da filo conduttore alle altre (e se finale ci dev´essere, che lieto sia). All´interno delle storie si può scorgere il mondo di Calvino, la teoria del romanzo e la funzione del narratore (che per il solo fatto di narrare altera la realtà che descrive: una sorta di principio di indeterminazione applicato alla letteratura!). Ma a non scorgerlo il piacere rimane inalterato...
Vi riporto qualche riga iniziale sperando, per chi non l´avesse già fatto in passato, che facciate come il Lettore della storia:

"Dunque hai visto su un giornale che è uscito Se una notte d´inverno un viaggiatore, nuovo libro di Italo Calvino, che non ne pubblicava da vari anni. Sei passato in libreria e hai comprato il volume. Hai fatto bene.
Già nella vetrina della libreria hai individuato la copertina col titolo che cercavi. Seguendo questa traccia visiva ti sei fatto largo nel negozio attraverso il fitto sbarramento dei Libri Che Non Hai Letto che ti guardavano accigliati dai banchi e dagli scaffali cercando d´intimidirti. Ma tu sai che non devi lasciarti mettere in soggezione, che tra loro s´estendono per ettari ed ettari i Libri Che Puoi Fare A Meno Di Leggere, I Libri Fatti Per Altri Usi Che La Lettura, i Libri Già Letti Senza Nemmeno Bisogno D´Aprirli In Quanto Appartenenti Alla Categoria Del Già Letto Prima Ancora D´Essere Stato Scritto. E così superi la prima cinta di baluardi e ti piomba addosso la fanteria dei Libri Che Se Tu Avessi Più Vite Da Vivere Certamente Anche Questi Li Leggeresti Volentieri Ma Purtroppo I Giorni Che Hai Da Vivere Sono Quelli Che Sono. Con rapida mossa li scavalchi e ti porti in mezzo alle falangi dei Libri Che Hai Intenzione Di Leggere Ma Prima Ne Dovresti Leggere Degli Altri, dei Libri Troppo Cari Che Potresti Aspettare A Comprarli Quando Saranno Rivenduti A Metà Prezzo, dei Libri Idem Come Sopra Quando Verranno Ristampati Nei Tascabili, dei Libri Che Potresti Domandare A Qualcuno Se Te Li Presta, dei Libri Che Tutti Hanno Letto Dunque E´ Quasi Come Se Li Avessi Letti Anche Tu. Sventando questi assalti, ti porti sotto le torri del fortilizio, dove fanno resistenza,
i Libri Che Da Tanto Tempo Hai In Programma Di Leggere,
i Libri Che Da Anni Cercavi Senza Trovarli,
i Libri Che Riguardano Qualcosa Di Cui Ti Occupi In Questo Momento,
i Libri Che Vuoi Avere Per Tenerli A Portata Di Mano In Ogni Evenienza,
i Libri Che Potresti Mettere Da Parte Per Leggerli Magari Quest´Estate,
i Libri Che Ti Mancano Per Affiancarli Ad Altri Libri Nel Tuo Scaffale,
i Libri Che Ti Ispirano Una Curiosità Improvvisa, Frenetica E Non Chiaramente Giustificabile.
Ecco che ti è stato possibile ridurre il numero illimitato di forze in campo a un insieme certo molto grande ma comunque calcolabile in un numero finito, anche se questo relativo sollievo ti viene insidiato dalle imboscate dei Libri Che Hai Sempre Fatto Finta D´averli Letti Mentre Sarebbe Ora Ti Decidessi A Leggerli Davvero.
Ti liberi con rapidi zig zag e penetri d´un balzo nella cittadella delle Novità In Cui Autore O Argomento Ti Attrae. Anche all´interno di questa roccaforte puoi praticare delle brecce tra le schiere dei difensori dividendole in Novità D´Autori O Argomenti Non Nuovi (per te o in assoluto) e Novità D´Autori O Argomenti Completamente Sconosciuti (almeno a te) e definire l´attrattiva che esse esercitano su di te in base ai tuoi desideri e bisogni di nuovo e di non nuovo (del nuovo che cerchi nel non nuovo e del non nuovo che cerchi nel nuovo).
Tutto questo per dire che, percorsi rapidamente con lo sguardo i titoli dei volumi esposti in libreria, hai diretto i tuoi passi verso una pila di Se una notte d´inverno un viaggiatore freschi di stampa, ne hai afferrato una copia e l´hai portata alla cassa perché venisse stabilito il tuo diritto di proprietà su di essa.
Hai gettato ancora un´occhiata smarrita ai libri intorno (o meglio: erano i libri che ti guardavano con aria smarrita dei cani che dalle gabbie del canile municipale vedono un loro ex compagno allontanarsi al guinzaglio del padrone venuto a riscattarlo), e sei uscito".

Chi non si è "specchiato" in queste righe alzi la mano...
E chi tra voi, animato da curiosità, andrà in libreria a comprare il libro (o se lo farà prestare...) sappia che:
"Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell'indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c'è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo piú forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace".

Buone letture,
A presto,
Massimiliano









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0927 - "L´alchimista" di PAULO COELHO

Ora la proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Valeria.


Salve, da quando sono entrata a far parte di Leggere54, aspetto con piacere ogni nuova proposta di lettura. Ora volevo consigliare anch´io un libro che porto nel cuore, anche se penso che molti lo conoscano già.
"L´alchimista"- Paulo Coelho
Paulo Coelho è nato a Rio de Janeiro nel 1947. È considerato uno degli autori più importanti della letteratura mondiale.
"L´alchimista"
Fin dai tempi più remoti, già nell´antico Egitto e soprattutto nel Medioevo, si praticava l´arte dell´alchimia, termine che deriva dal cinese "kimiya" e che significa "succo per fare l´oro". Infatti, uno degli obiettivi di questa scienza occulta era di riuscire a trovare la pietra filosofale che trasformava i metalli in oro e argento, e l´elisir di lunga vita che curava tutte le malattie e impediva all´alchimista di invecchiare. Anche l´uomo di oggi è attratto da una nuova "alchimia" e ricerca con tutte le sue forze e i mezzi moderni a sua disposizione di ritardare il più possibile l´invecchiamento, poiché l´idea che un giorno tutto finisca rende disperati. Nel contempo cerca il potere che è l´illusione della felicità più ambita.
Paulo Coelho, uno degli autori più importanti della letteratura mondiale, vivendo in un luogo dove l´alchimia e la magia fanno ancora parte della tradizione popolare, ne è rimasto così affascinato che per lunghi anni si è dedicato al suo studio, arrivando alla conclusione che esistono tre tipi di alchimisti: "quelli che sono vaghi perché non sanno di cosa stanno parlando, quelli che sono vaghi perché sanno di cosa stanno parlando e hanno capito che l´alchimia è un linguaggio rivolto al cuore e non alla ragione, e quelli che non hanno mai sentito parlare di alchimia, ma che sono riusciti nel corso della loro vita a comprenderne i segreti più profondi, raggiungendo una concordanza totale con il mondo".
A questo terzo tipo appartiene Santiago, protagonista del capolavoro di Coelho "L´alchimista", un giovane Andaluso che ha scelto di dedicarsi alla pastorizia invece che agli studi ecclesiastici per assecondare il suo desiderio di viaggiare. Destatosi da un sogno premonitore che lo spinge a cercare un tesoro lontano situato vicino alle piramidi d´Egitto, intraprende un lungo viaggio attraverso cui avrà l´opportunità di fare nuove esperienze, conoscere persone diverse, scoprire l´amore fino ad arrivare a parlare con le forze della natura e ad immergersi nell´anima di Dio e del mondo. Si lascerà guidare dal destino e dai tanti segnali, ma soprattutto dal suo cuore pieno di fiducia e coraggio per la vita che lo aiuteranno a raggiungere il suo vero tesoro posto nel luogo dove era sempre vissuto.
L´autore si identifica in questo personaggio: lascia la scuola teologica contro il volere del padre il quale, convinto che le sue ribellioni fossero da imputare a una malattia mentale, lo fa ricoverare per un periodo in un ospedale psichiatrico; intraprende anche lui un lungo viaggio costellato da molteplici esperienze alla scoperta del mondo inseguendo i suoi sogni. Inoltre, come un altro personaggio del libro, un inglese rapito dall´alchimia, dedica i primi anni di questa sua libertà allo studio dei simboli sui testi antichi e anche lui avrà l´arma della perseveranza per realizzare la sua leggenda personale, ovvero quello che desiderava sempre fare. Tutto ciò lo porterà a conoscere profondamente se stesso e la sua saggezza acquisita nel corso degli anni la trasmette così nelle sue opere con entusiasmo e magico trasporto.
Tutto il romanzo è un libro a carattere simbolico poiché può essere interpretato in vari modi ed ogni frase racchiude in sé messaggi più profondi. Mi ha molto colpito l´affermazione: <>. Spesso noi giovani abbiamo sotto gli occhi dei grandi tesori, un mondo fatto di piccole cose, piccoli gesti come un sorriso, ma a volte non li vediamo nemmeno o non li riteniamo importanti per la nostra felicità che ricerchiamo in chissà quali grandi eventi della nostra vita.
Invece <>. Nella storia infelice era un mercante di cristalli che aveva paura di realizzare il proprio sogno, l´unica cosa che lo manteneva vivo e gli faceva sopportare tutti i giorni uguali, e si limitava a sognare per timore di rimanere deluso un volta raggiunto. I cuori di molti uomini sono così: <> e quindi di soffrire. Ma già il fatto di avere il coraggio di seguire il proprio cuore anche senza raggiungere uno scopo finale è un modo per essere felici.
Per concorrere alla felicità infine occorre che durante il cammino della nostra vita lasciamo aperte le porte a tutto ciò che il destino ci propone, perché i suoi segnali non appartengono a questo mondo ma a un disegno più grande che per noi è difficile comprendere. Perché tutto l´universo, compresa l´anima del mondo, ci aiuta a raggiungere la nostra leggenda personale.

-Valeria-



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0928 - "L' ultima caccia" di JOE R. LANSDALE e il romanzo di formazione

Ora la proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Pier .

Caro Filippo e tutti voi di Leggere54,
Io sono interessato in maniera particolare, forse per quanto di inespresso o di incompiuto c´è stato nella mia infanzia e soprattutto nella mia pubertà, a quel genere letterario che i tedeschi hanno fatto nascere e battezzato come Bildungsroman, romanzo di formazione, dove tipicamente un giovane protagonista è colto nel momento cruciale del proprio percorso verso la maturità e l'età adulta, e affronta una prova particolare, oppure vive una vicenda che inevitabilmente lo segnerà, facendolo crescere spiritualmente e fisicamente, per cui supererà il mondo dorato dell´infanzia e potrà dire di essere approdato al "mondo vero" delle persone adulte.
La letteratura classica è piena di autori che si sono cimentati con questo genere di romanzi: dai tedeschi, Goethe in primis (è stato l´antesignano del genere) fino a Musil, Thomas Mann o Hermann Hesse, agli anglofoni Dickens, Mark Twain, London e tutti gli altri (anche al femminile, ci sono romanzi di formazione bellissimi, Jane Eyre, o anche Piccole Donne della Alcott ad esempio), per cui ho avuto molto da leggere (e con molto piacere rileggo), ma ultimamente (beh, mica tanto, due o tre anni fa) mi sono imbattuto in un alcuni romanzi brevi di un autore americano contemporaneo, di cui avevo già letto molto ma di tutt´altro genere, che trovo assolutamente godibili, dei veri capolavori, e che voglio portare alla vostra attenzione (per un mio tornaconto, di cui vi dirò in fondo).

Joe R. Lansdale non sarà uno sconosciuto per molti di voi. E´ uno scrittore americano di una prolificità spaventosa, che ha toccato vari generi e che in Italia è diventato famoso soprattutto per dei noir con sfumature umoristiche, molto godibili, ed anche per romanzi strampalati e allucinati, come La notte del drive-in, che hanno dei fedeli cultori.
Ma, a mio avviso, Lansdale ha scritto anche alcuni veri capolavori letterari, che andrebbero messi a fianco dei grandi classici americani.
Mi riferisco a La sottile linea scura, e a In fondo alla palude con il suo magico corollario de L´ultima caccia .
La sottile linea scura e L´ultima caccia sono due veri e propri bildungsroman, due romanzi (il secondo è piuttosto un "racconto lungo") che rieccheggiano pienamente tutta la migliore tradizione americana, dalle Avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain a Il buio in fondo alla siepe di Harper Lee (ma sono certo che Lansdale ha sempre ben presente anche l´E.A. Poe del Gordon Pym quando scive i suoi romanzi). Nella quarta di copertina de La sottile line scura (Stile libero - Einaudi) si richiama anche lo Stephen King di Stand by me (e non sembri questa una bestemmia: chi ha letto quella novella, certamente non potrà negare la grandezza dello scrittore, in quel frangente grande alla pari dei grandi), per me uno dei più bei bildungsroman mai scritti.
Vi trascrivo due righe da L´ultima caccia, sperando che possa accendere in voi un po´ di curiosità:
"Man mano che si avvicinava, ero sempre più certo che dovesse trattarsi di un grosso procione, anche se non avevo riconosciuto il tipico latrato che Roger emetteva quando incontrava un procione. Ed ecco che, per un istante, nella luce tremolante della torcia, comparve Roger !
Era come se fosse stato lanciato dalla boscaglia. La lingua gli pendeva dalla bocca come un calzino bagnato, aveva gli occhi spiritati e correva così veloce che le zampe anteriori e quelle posteriori per poco non si toccavano.
Non era Roger ad inseguire quella cosa. Era quella cosa che inseguiva lui.
Mentre Roger scompariva nelle tenebre verso la boscaglia, sul mio lato del sentiero, apparve la cosa che lo stava inseguendo e, ancor prima che la vedessi, ne sentii l´odore..."

E arriviamo adesso al mio tornaconto.
Mi chiedevo se fra gli amici di Leggere54 non ci fosse per caso qualcun altro interessato al bildungsroman, qualcuno che avesse fatto altre letture rispetto alle mie, che potesse segnalarmi magari qualche nuovo autore, un contemporaneo o forse anche un classico che mi fosse sfuggito, oppure semplicemente che avesse voglia, magari proprio attraverso Leggere54, di confrontare i suoi bildungsroman con i miei.

Spero di non aver annoiato troppo quelli che non amano questo genere di letture ed anche quelli che criticano Daria Bignardi senza averla letta (Filippo, non tagliare questo appunto!), e ... attendo fiducioso!

Saluti
Pier





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0929 - "Le torri di New York" di RAFAEL ALBERTI

Ora la proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Veronica C.
La poesia che vi propongo stavolta, vi lascerà probabilmente senza fiato (o l´ha già fatto, se già la conoscevate), considerando l´anno in cui è stata composta (1982), come è successo a me quando l´ho letta per la prima volta, per caso, nel 2004.
N.Y.
Rafael Alberti

Aquí no baja el viento
se queda aquí en las torres,
en las largas alturas,
que algún día caerán,
batidas, arrasadas de su propia ufanía.
Desplómate, ciudad, de hombros terribles,
cae desde ti misma.
Qué balumba de ventanas cerradas,
de cristales, de plásticos,
de vencidas, dobladas estructuras.
Entonces entrará,
podrá bajar el viento
hasta el nivel del fondo
y desde entonces no existirá
más arriba ni abajo"
Traduzione di Gabriel Cacho Millet:
Le torri di New York

Qui non scende il vento,
resta qui tra le torri,
nelle lunghe altezze,
che un giorno cadranno,
abbattute, schiacciate dalla loro
stessa vanità.

Sprofonda, città, dalle spalle terribili,
crolla su se stessa.
Che baraonda
Di finestre chiuse,
di vetri, di pezzi di plastica,
di vinte, piegate strutture.
Allora entrerà,
potrà scendere il vento
fino al livello del fondo.
E d´allora non ci sarà
Più sopra né sotto.
Rafael Alberti (El Puerto de Santa María, 16 dicembre 1902 - Cadice, 28 ottobre 1999) è stato un poeta spagnolo.
Come il suo nome suggerisce, ha origini italiane: il nonno paterno era un garibaldino toscano, Tommaso Alberti Sanguinetti.
Nel 1917 si trasferisce a Madrid dove comincia a interessarsi di pittura.
Nel 1922 i suoi lavori vengono esposti nell'ateneo di Madrid. Poco dopo entrerà in contatto con gli artisti e gli scrittori nella Residencia de Estudiantes, quelli che saranno in seguito i protagonisti della Generazione del `27.
Nel 1924 mentre è costretto a vivere nella sierra (Guadarrama y Rute) a causa di una malattia alle vie respiratorie pubblica la raccolta di poesie "Marinero en tierra" che vince il "Premio nacional de Literatura".
Nel 1927 partecipa alle celebrazioni per la morte di Góngora in omaggio al quale pubblicherà "Cal y Canto".
Nel 1928 compone "Sobre los ángeles" in seguito ad una profonda crisi personale, poi "Sermones y moradas" e "El hombre deshabitado".
Una nuova fase inizia con l'avvento della Repubblica. Nel 1931 entra nel Partido Comunista de España (PCE), con la sua compagna Maria Teresa León fonda la rivista rivoluzionaria "Octubre" e partecipa alla lotta contro il fascismo.
Nel 1939, dopo la sconfitta repubblicana, si rifugerà in Francia, poi in Argentina quindi in Italia a Roma presso Trastevere (1963).
Nel suo lungo soggiorno romano, trascorso con la sua compagna Maria Teresa, il poeta frequentò assiduamente i circoli intellettuali progressisti, che lo accolsero, oltre che per il suo indubbio valore poetico, anche per la sua qualità di democratico in esilio da un regime dittatoriale.
In quel periodo, 1963-1976, ebbe un lungo sodalizio culturale con la poetessa italiana, ispanista, Elena Clementelli, e si legò ad un gruppo di critici letterari romani, tra cui Walter Mauro e Luigi Silori. Non rari furono i suoi incontri con il gruppo musicale cileno Inti Illimani, che musicò anche alcuni testi di Alberti, accomunati al poeta dalla condizione di esiliati e che sono stati per anni ospitati dal comune di Genzano.
Rientrerà in Spagna nel 1977 solo dopo la morte di Francisco Franco e otterrà il Premio Cervantes.

A un mese dal disastro delle Torri Gemelle, in data 10 ottobre 2001, il quotidiano La Repubblica pubblica N. Y. di Alberti a pag. 46, nella sezione: CULTURA
Rafael Alberti scrisse N. Y. dopo aver visto a New York le Torri Gemelle del World Trade Center, all´inizio degli anni `80. Il componimento è tratto da Versos sueltos de cada día pubblicato a Barcellona nel 1982 da Seix Barral.
I versi di Alberti su New York, seguono una tradizione inaugurata dal suo amico Federico García Lorca nell´opera Poeta en nueva York, nella quale viene espresso un sentimento di protesta contro la civiltà moderna e la metropoli nella quale Lorca identifica il simbolo dell´angoscia e dell´alienazione umana.
Diceva Alberti, non senza una punta di malizia verso Lorca: "Ed è New York, il magico e brutale mostro di pietra che non ha pietre da offrire alle radici dei suoi poveri alberi, che soffoca il ritmo arioso, fanfarone, pieno di abbandono e ritorni di Lorca, che dà alla sua voce un tono e una lentezza strani... Federico vedeva, Federico intravedeva, incominciava a vedere e a capire molte cose...".

Leggere i versi scritti da Alberti su New York, alla luce dei fatti accaduti l´11 settembre 2001, non può non suscitare inquietudine per il carattere profetico che essi vengono ad assumere.
La descrizione del futuro crollo è concisa, ma racchiude in sé tutte le immagini che ognuno di noi ha visto in TV: "...Sprofonda, città, dalle spalle terribili, crolla su se stessa. Che baraonda di finestre chiuse, di vetri, di pezzi di plastica, di vinte, piegate strutture...".
Tuttavia, al di la´ del valore profetico che a mio avviso è proprio di ogni forma d´arte (sono tanti i poeti, scrittori e artisti in generale che hanno avuto una percezione chiara del futuro, descrivendoci, a parole o in forme più astratte, anche con un anticipo di mezzo secolo, il mondo in cui ci troviamo a vivere ora), la visione di Alberti non deve più di tanto stupirci, se inserita nel contesto del cambiamento radicale che investì le nostre vite negli anni ´70 e ´80, con l´avvento di un mostro inarrestabile chiamato tecnologia, che se da un lato arrivava a semplificare la vita, dall´altro fu subito chiaro che i danni che avrebbe arrecato all´umanità sarebbero stati di una portata terrificante.
È normale che dunque, un poeta nato in un piccolo paese di mare dell´Andalusia, rimanga scioccato dalla mole delle Torri Gemelle e dallo skyline di New York, e non può fare a meno di riflettere e constatare che tutte le cose costruite per mano dell´uomo, per quanto imponenti possano essere, sono destinate ad avere una fine, e la fine sarà tanto più caotica e disastrosa, quanto più imponente è la creazione.

Francamente ritengo sia da escludere che Alberti avesse in mente un attentato terroristico mentre scriveva N.Y..
Alla fine, l´auspicio di Alberti, è un crollo metaforico, più che materiale, l´auspicio che una volta abbattute queste immense strutture di plastica, vetro e cemento, specchio della vanità, dell´infinita superbia dell´uomo, finalmente il vento torni a scendere fino al livello del fondo, che la natura si riprenda finalmente il suo posto.
Un´affermazione del fatto che, per quanto alte siano le torri che riusciamo a costruire, rimaniamo comunque piccoli davanti alla natura e al tempo, che seguono sempre ed inesorabilmente il loro corso.

E da quel giorno non ci sarà più sopra né sotto, e gli uomini saranno davvero liberi, e tutti uguali.

E pensare che Alberti è morto appena 2 anni prima che potesse vedere il disastro delle torri!
Le torri sono crollate, ma solo fisicamente, non metaforicamente, come profetizzava un utopico Alberti.
Vi lascio con un´altra poesia di Alberti dedicata all´America:

Canción 32
América está muy sola
todavía.
¡Qué cuerpo deshabitado,
piel de desértica vida!
Desde este balcón la veo
vacía.
Abajo, tierra sin nadie,
con las estrellas arriba.
Sola y lejana en su noche,
muy sola, pero encendida.

Canción 32
L'America è ancora molto sola
Che corpo disabitato,
pelle dalla desertica vita!
Da questo balcone la vedo vuota.
Sotto, terra senza nessuno,
con le stelle in alto.
Sola e lontana nella sua notte,
molto sola, però accesa.

Veronica C
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0930 - "Firmino " di SAM SAVAGE

Ora la proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Cristina.

" quando si è di piccole dimensioni, non basta essere un genio "
Firmino fu pubblicato la prima volta da una casa editrice no profit con una tiratura di sole mille copie. Poi ha vinto tutti i premi letterari per scrittori esordienti degli Stati Uniti. Potenza del passaparola: è diventato un caso letterario.
Firmino è un libro piccolo piccolo, in Italia pubblicato da Stile Libero Einaudi, che porta sulla copertina bianca il disegno di un topastro triste alle prese con un librone. Decine di volte sono passata in libreria davanti alla pila alta di questo Firmino, la striscia rossa di copertina riporta tra virgolette il giudizio di Pietro Citati "Un romanzo straordinario"...ci sarebbe da fidarsi...ma niente, proprio non m´ispirava. Alcune volte sono un po´ superficiale: i libri mi devono piacere anche per come sono fatti, la carta, i colori, il titolo in rilievo che ci passi sopra le dita mentre te ne vai curiosando tra gli scaffali. Poi, un giorno, una mia amica mi dice che l´ha letto ed è un libro bellissimo. Due ore dopo ne avevo già una copia in borsa. Potenza del passaparola, appunto.
Innanzi tutto Firmino è un topo. Forse non avrei dovuto anticiparlo ma comunque non è una gran rivelazione, lo si legge anche nel retro di copertina, il saperlo però non rovina l´effetto delle primissime pagine dalle quali non lo si capisce immediatamente, mano a mano che si prosegue nella lettura, ci si accorge che il punto di vista del narratore è un po´ ...insolito.
Firmino da piccolo, penalizzato da un fisico deboluccio, è costretto, per sopravvivere ai ben più voraci fratelli, a divorare i libri della biblioteca dove è venuto al mondo, salvo, ad un certo punto, iniziare a leggerli. Inizia così il suo viaggio.
Pensa , pensa Firmino. Vorrebbe raccontare la sua stessa vita come un romanzo e per questo si angustia, nei lunghi pomeriggi, alla ricerca di un incipit perfetto.
Avevo sempre immaginato che la storia della mia vita, se un giorno l´avessi mai scritta, sarebbe cominciata con un capoverso memorabile: lirico come il <> di Nabokov o, se non altro, di grande respiro come il tolstojano: <>. La gente ricorda espressioni del genere anche quando del libro ha dimenticato tutto il resto.
Tutta la vita ho battagliato con la scrittura, e non c´è niente che abbia affrontato con più coraggio - si, questa è l´espressione esatta, coraggio - degli incipit.

Rifiutato dai suoi simili, Firmino, conosce il mondo attraverso i pochi uomini che ha modo di osservare, ma soprattutto attraverso quello che impara dai libri di cui, in tutti i sensi, è un divoratore fino ad un certo punto della sua vita almeno. "Viaggiavo nei libri, ma non li mangiavo più e il cibo quello prosaico, illetterato, rappresentava un problema costante".
L´esperienza che fa del mondo allontanandosi a poco a poco e con coraggio dalla sua tana è raccontata con ironia e originalità, il rapporto che instaura con il libraio Norman, del quale finisce per innamorarsi, ha qualcosa di tragico ed esilarante al tempo stesso. Alle situazioni che vive mette delle etichette che sono i titoli stessi dei libri o citazioni di questi che diventano appunto la chiave per decifrare azioni e cose altrimenti per lui incomprensibili.
Il mondo fuori dal mio adorato negozio di libri era tutto un divorarsi a vicenda in una feroce competizione, un si salvi chi può. Ogni cosa era lì, pronta a colpirci a morte, implacabile. Le probabilità di sopravvivere un anno erano pari a zero. Di fatto, dal punto di vista statistico, eravamo praticamente morti. Non lo sapevo ancora ma l´intuivo[..] Se c´è un merito da riconoscere alla letteratura è che infonde un senso di fatalità. Niente più di una vivida immaginazione riesce a privare una persona del suo coraggio. Ho letto il Diario di Anna Frank, sono diventato Anna Frank. Gli altri potevano provare infinito terrore, appiattirsi spaventati in un angolo[..], ma, non appena il pericolo passava, era come se non si fosse mai presentato, così riprendevano a trotterellare felici. Felici per tutta la durata della vita, finchè non venivano schiacciati o avvelenati[..]. Io invece sopravvivevo a tutti loro e, di contro, morivo migliaia di volte. Ho percorso la vita trascinandomi dietro una bava di paura luccicante come una lumaca. Quando morirò davvero sarà una delusione.
Firmino non è soltanto un accanito lettore, ama anche il cinema e la musica.
Andando a procurarsi il cibo al vecchio cinema Rialto vede tutti i film che vengono proiettati e le belle attrici nel suo immaginario diventano Le Bellezze, si innamora di Ginger e vorrebbe essere bello e leggero come Fred Astaire, su di loro fantastica e sogna a lungo. Siamo costantemente immersi nel suo punto di vista, quello di un topo appunto, ma allo stesso tempo diventa immediatamente speciale e smettiamo di considerarlo tale, non ci stupiamo ad esempio del fatto che impari anche a suonare un vecchio pianoforte giocattolo.
La condanna di Firmino è non il appartenere più completamente alla sua specie ma, contemporaneamente, non poter far parte degli uomini perché intrappolato nei limiti fisici che l´essere un topo gli impone ("quando si è di piccole dimensioni, non basta essere un genio"). Il desiderio struggente poi di trovare un linguaggio per comunicare con gli uomini darà vita ad uno sforzo vano e frustrante; gli uomini lo guarderanno sempre, solo, come un topo e non ne intuiranno mai le straordinarie qualità. Romantico, intelligente, cinico e pieno di fantasia Firmino è una creatura commovente che si affaccia e scruta il nostro mondo con umanità.
Quella che ho cercato di raccontare è solo una piccola parte della vicenda di Firmino, ci sono incontri e situazioni alle quali non ho accennato. Vi invito a leggerlo perché è un libro originale, divertente, ben scritto, pensato per chi ama leggere e non ho trovato una sola riga che fosse banale. Forse anche noi siamo o siamo stati, almeno per un periodo, un po´ come come questo topo, ci siamo sentiti brutti o comunque meno belli degli altri, in lotta per la sopravvivenza anche se non certamente fisica. Abbiamo "cresciuto" dentro di noi un mondo meraviglioso senza trovare il modo per comunicarlo agli altri, incapaci di esprimere il nostro sentire.
Ma più di tutto Firmino ci insegna l´importanza dell´immaginazione e soprattutto dell´esercizio dell´immaginazione come risorsa per migliorare la nostra vita.
Se amerete questo libro quanto me, vi invito a passarne parola.
P.S. Firmino è stato scritto da Sam Savage, un ex professore di filosofia, poi meccanico di biciclette, carpentiere e pescatore. Mi auguro riesca a scrivere qualcosa di altrettanto bello ma temo che certe volte sia impossibile superarsi.
Dal retro di copertina:
" Firmino, il topo che Walt Disney avrebbe inventato se solo fosse stato Borges. Se leggere è il vostro piacere e il vostro destino, questo libro è stato scritto per voi."
Alessandro Baricco

"Firmino racconta di tutti noi il giorno in cui abbiamo scoperto che con un libro potevamo inventare la nostra vita."
Valeria Parrella





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0931 - " Il signore degli Anelli " di J.R.R. TOLKIEN

Ora la proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Rosina.

"Un anello per domarli tutti, un anello per trovarli, un anello per ghermirli e nell´oscurità incatenarli"... Gandalf
The Lord of the Rings
"Il Signore degli Anelli", una trilogia di circa 1000 pagine, creata dal grande J.R.R. Tolkien, è stata ed è tutt´ora per me, l´unica Storia mai eguagliata.
Follemente tolkienologa, Frodo, Gandalf, Aragorn, Gimli, Legolas, sono per me non personaggi di un romanzo, ma persone. Reali, tangibili, umane, con i loro difetti e le loro virtù.
Ma cominciamo da capo...
Tolkien, creatore del mondo secondario, la Terra di Mezzo, nasce in Sudafrica, nella città di Bloemfontein il 3 gennaio del 1892. Vive un´infanzia difficile, a soli 12 anni, rimane orfano. Da sempre bravo a scuola, la lettura diventa così la sua più grande passione ed il suo rifugio. Durante gli studi ad Oxford, con gli amici più cari, fonda un circolo di letteratura: i temi più trattati sono le saghe eroiche e le letture fantastiche, da sempre le sue più grandi passioni letterarie. L´arrivo della Prima Guerra Mondiale, sconvolge nuovamente la sua vita, gli amici più cari muoiono uno dopo l´altro, e tutto ciò influenzerà il suo futuro modo di scrivere. Infatti, il tema principale di Tolkien è la morte. Da un quaderno, in trincea, nei rari momenti liberi e tranquilli, scriverà, appena ragazzo, i futuri "Racconti Perduti". E´ così che nasce la Terra di Mezzo.
L´amore per le lingue che aveva frequentato all´università e che lo rivedranno in futuro come docente nella stessa, lo porteranno a crearne una: la lingua elfica.
Questo comporterà anche la creazione di una sua mitologia. Per Tolkien infatti, all´Inghilterra mancava una mitologia tutta sua, le "tradizioni" per esempio di Re Artù, erano soltanto prese in "prestito" alla rivale Francia. Così come grazie alle invasioni normanne che nel 1066 portarono "storie" che sono tutt´ora il fulcro della mitologia inglese.
Tolkien non si è limitato quindi a scrivere un romanzo, ha inventato un Mondo, che vive di vita propria, per lui reale quanto la nostra Terra. La trilogia, non è altro che un racconto nel racconto, un episodio di un più grande, direi immenso libro, che è stata tutta la vita di Tolkien stesso. Per l´umanità è considerato il suo capolavoro, per Tolkien, non fu altro che una piccola parte dell´intera Mitologia. La punta di un iceberg.
Qui, la lingua, i modi, i costumi, gli oggetti, la geografia, la geologia, vengono descritte fin nei minimi dettagli; Tolkien era stato lì, nella Terra di Mezzo, nella Contea, a Mordor, a Gran Burrone ed a Minas Tirith, la città dei Re. Lui c´era stato. A noi poi, ce lo ha raccontato come con una bellissima fotografia in mano.
Purtroppo, come si sa, Tolkien morirà senza completare il lavoro di tutta una vita. Alcuni suoi racconti, usciti dopo la sua morte, saranno terminati e pubblicati da Cristopher, suo figlio.
Esiste una storia per come Tolkien abbia inventato gli hobbit... Un giorno mentre correggeva i compiti, scrisse su di un foglio "In una buca viveva un hobbit". Da lì è partito tutto.
"Lo hobbit" è stata la sua prima pubblicazione, un libro per bambini. "...Bilbo Beggins era un hobbit, non amava l´avventura e viveva nella sua casa hobbit. Gandalf ed i suoi nani lo persuasero a partire. Combattè i goblin e tornò ricco".
Il libro fu un successo e si esortò così Tolkien a scriverne il seguito. Tolkien riprese lo studio della Sua Mitologia... ed è così che nacque "Il Signore degli Anelli".
La storia narra di una Compagnia di nove elementi tra uomini, elfi nani ed hobbit che deve arrivare al Monte Fato, terra del signore del Male, Sauron per distruggere l´Unico Anello, simbolo del potere assoluto del Male sulla Terra di Mezzo, nella Terza Era. Questo tra alleati e nemici, tra guerre, lotte, tradimenti e fortuiti aiuti.
Il primo volume de "Il Signore degli Anelli"-La compagnia dell´Anello- venne pubblicato nel ´54 da Allen Runwin. Servirono 12 anni di lavoro.
Tolkien era un perfezionista, le sue pubblicazioni dovevano essere perfette, come lui stesso voleva. Era molto esigente. A 60 anni, Tolkien potè finalmente vedere il suo Mondo, prendere vita. Dovunque nelle città, nelle metropolitane, si leggevano frasi come "Frodo vive", "Frodo è tra noi", anche se questo a Tolkien non piaceva. Lui rimase sempre distaccato dalle sue creazioni, quasi infastidito da tutto quel clamore.
Nel XX sec. divenne il 2° libro più letto, dopo la Bibbia, anche per i suoi temi biblici, che in molti hanno riscontrato all´interno della storia stessa. Ancora oggi, a distanza di tutti questi anni, viene letto con piacere, per i temi basilari dell´esistenza umana, che si trovano al suo interno, temi che per Tolkien, servivano, soltanto in un modo diverso, ad onorare il libro in sé per sé. Questa ricchezza di dettagli e di informazioni all´interno della Mitologia di Tolkien, era il frutto dell´amore che Tolkien stesso metteva nello scrivere, il cuore questo, sicuramente per realizzare un libro che meriti poi il rispetto di intere generazioni di lettori.
Ne "Il Signore degli Anelli" troviamo l´applicabilità del lettore alla storia, e non ad un momento specifico della Storia umana. Per questo chi legge "Il Signore degli Anelli" per forza si ritrova e si rivede in uno dei personaggi, piange, ride, si dimena, combatte insieme a lui. Qui Frodo, Sam, Pipino, Marry, ci fanno capire che si può essere coraggiosi senza avere coraggio; Frodo, è un hobbit, è piccolino, ma ciò che deve affrontare è immenso. Va avanti, ma non da solo, con l´aiuto dei suoi compagni, perché senza avrebbe fallito nella sua missione. Così Frodo diventa un immenso eroe. Eroe, insieme a tanti altri eroi, come nella vita quotidiana.
Nella storia, non c´è mai sicurezza di vincere, di vivere, proprio quando stai per toccare il fondo, allora è proprio lì che risali. Ritrovare la speranza, anche quando questa sembra non esserci più.
C´è ancora speranza"... afferma Galadriel quando la Compagnia dell´Anello, sembra essere perduta...
Il bene è multiculturale e multirazziale, Mordor, con l´Unico Anello è in opposizione a questo. Non esiste qui, solo la lotta tra il bene ed il male, si combatte anche a costo della vita, per la salvezza di tutti. Il male, è mancanza di vita indipendente, che rende fantocci, come Saruman, come Vermilinguo, come Gollum rende schiavi. Così sono i cavalieri neri.
"Un tempo erano uomini, grandi Re degli uomini; poi Sauron l´ingannatore diede loro 10 anelli. Uno dopo l´altro caddero nell´oscurità, per la bramosia di avere l´Unico Anello. Ora sono spettri. I Wraiths". Aragorn.
Per Tolkien, il male era dentro ogni uomo. Un uomo si comporta bene, poi, per l´Unico Anello, per il Potere, prende la strada del male. Come Gollum, come Faramir, come i Cavalieri Neri, come Frodo, che vedrà su di se lo stesso male, e per annientarlo, sacrificherà la propria vita.
Questo, per avere un mondo di pace, un mondo verde, un mondo buono, come la Contea, che per Tolkien, ecologista, era un tesoro inestimabile da custodire. Per lui la tecnologia era un mostro che divorava tutto quello che di buono e di verde c´è al mondo. Per questo, nella sua storia, gli eroi salvano la terra, i suoi frutti, i suoi prati, la sua gente semplice e felice...
Avrei tante altre cose da dire, ma non vorrei correre troppo con la fantasia... Spero solo di aver coinvolto in questa mia riflessione da grandissima appassionata, anche chi crede ancora che "Il Signore degli Anelli" sia un semplice libro... e per chi invece ne è come me già innamorato... di aver condiviso un po´ di quell´emozione che si prova quando vedo dinanzi a me Gollum, Frodo e Sam, andare verso il Monte Fato per distruggere l´Anello del Potere...
Un ultimo appunto, per farvi passare una piacevole serata davanti alla tv, con un buon film... "Il Signore degli Anelli" in versione cinematografica (o integrale per chi vuole esagerare... più di 800 minuti tra film ed appendici!) diretta da Peter Jackson, per conoscere in un modo diversamente coinvolgente, un po´ del mondo di Tolkien...
"Doveva essere il film di Tolkien e non d´altri, e contenere tutto quello che a Tolkien stesso stava a cuore" P. Jackson
Una storia universale, accessibile alle più svariate menti del Mondo intero.
Rosina.

Allora Elrond e Galadriel ripresero il cammino; la Terza Era era infatti finita, e i Giorni degli Anelli ormai passati, e si concludevano così la storia e i canti di quei tempi. E con essi se ne andavano molti Elfi di Alto Lignaggio che non volevano più dimorare nella Terra di Mezzo; e in mezzo a loro, pieni di una tristezza benedetta e priva di ogni amarezza, cavalcavano Sam, e Frodo, e Bilbo, e gli Elfi erano felici di poterli onorare.
Benché cavalcassero attraverso la Contea durante tutta la sera e tutta la notte, nessuno li vide passare, se non gli animali dei boschi, e qua e là qualcuno che vagando nel buio scorse a un tratto un bagliore fra gli alberi, o una luce e un´ombra scivolare sull´erba mentre la Luna volgeva a occidente. E quando ebbero lasciato la Contea, oltrepassando le pendici meridionali dei Bianchi Poggi, i Luoghi Lontani e le Torri, videro in lontananza il Mare; e così giunsero infine a Mithlond, i Porti Grigi sul lungo estuario del Lune.
Quando arrivarono al cancello, Cìrdan il Timoniere si fece avanti ad accoglierli. Era molto alto, aveva la barba lunga e grigia, ed era anziano, ma i suoi occhi erano sfavillanti come stelle; li guardò, s´inchinò e disse: "Tutto è pronto".
Poi Cìrdan li condusse ai Porti, e una bianca nave li attendeva, e sul molo si ergevano un grande cavallo grigio e una figura ammantata di bianco. E quando si voltò e venne loro incontro, Frodo vide che Gandalf portava ora visibile al dito il Terzo Anello, Narya il Grande, e la pietra era rossa come fuoco. Allora coloro che dovevano partire furono sereni, perché compresero che Gandalf sarebbe salpato con loro.
Ma ora Sam era pieno di tristezza, e gli parve che la separazione sarebbe stata amara, più amara ancora era la via del ritorno. Ma mentre erano tutti là riuniti, e gli Elfi stavano salendo sulla nave, e ogni cosa veniva preparata per la partenza, arrivarono al gran galoppo Pipino e Merry. E fra le lacrime Pipino rideva.
"Hai cercato di andartene di nascosto già una volta, Frodo, e non ci sei riuscito", egli disse. "Oggi stavi quasi per farcela, eppure hai di nuovo fallito. Ma non è stato Sam a tradirti questa volta, ma Gandalf in persona!".
"Sì", disse Gandalf; "perché sarà meglio che torniate in tre piuttosto che Sam da solo. Ebbene, cari amici, qui sulle rive del Mare finisce la nostra compagnia nella Terra di Mezzo. Andate in pace! Non dirò: `Non piangete´, perché non tutte le lacrime sono un male".
Allora Frodo baciò Merry e Pipino e per ultimo Sam, e salì a bordo; le vele furono issate, il vento soffiò, e lentamente la nave scivolò via lungo il grigio estuario; e la luce della fiala di Galadriel che Frodo teneva alta scintillò e svanì. La nave veleggiò nell´Alto Mare e passò ad ovest, e infine, in una notte di pioggia, Frodo sentì nell´aria una dolce fragranza, e udì dei canti giungere da oltre i flutti. Allora gli parve che, come quando sognava nella casa di Bombadil, la grigia cortina di pioggia si trasformasse in vetro argentato e venisse aperta, svelando candide rive e una terra verde al lume dell´alba.
Ma per Sam la sera diventò buia, mentre si teneva in piedi sulla riva dei Porti, e guardando il grigio mare vide soltanto un´ombra sulle acque che scomparve presto a occidente. Rimase a lungo lì immobile nella notte, udendo soltanto il sospiro e il mormorio delle onde sulle spiagge della Terra di Mezzo, e il rumore penetrò sino in fondo al suo cuore. Accanto a lui erano Merry e Pipino, immobili e silenziosi.
Infine i tre compagni si allontanarono e partirono, tornando lentamente verso casa senza mai voltarsi; e non dissero una parola finché non ritornarono nella Contea, ma ognuno traeva molto conforto dalla presenza degli amici sulla lunga strada grigia.
Passarono infine i poggi e presero la Via Orientale, e Pipino e Merry cavalcarono verso la Terra di Buck; e già ricominciavano a cantare. Ma Sam prese la via per Lungacque, e tornò al Colle e di nuovo il giorno stava finendo. Egli vide una luce gialla e del fuoco acceso: il pasto serale era pronto, e lo stavano aspettando. Rosa lo accolse e lo fece accomodare sulla sua sedia, e gli mise la piccola Elanor sulle ginocchia.
Egli trasse un profondo respiro. "Sono tornato", disse.
E´ difficile scegliere dei brani da proporre, il libro è straordinario. Alla fine ho scelto questo perchè ogni volta che arrivo a questo punto, le stesse parole, <... "Egli trasse un profondo respiro. "Sono tornato", disse.> a me viene voglia già di ricominciare daccapo!
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0932 - " Le intermittenze della morte " di JOSE’ SARAMAGO

Ora la proposta di lettura della settimana che ci ha inviato Michela

José Saramago (Azinhaga, 16 novembre 1922) è uno scrittore, poeta e critico letterario portoghese, premio Nobel per la letteratura nel 1998.

Il libro è una straordinaria avventura che attraverso la celebrazione dell'importanza della morte, si rivela essere un inno alla vita, con tutti i suoi dolori e le sue contraddizioni. C'è la critica feroce alle istituzioni politiche, sociali, religiose, smussata dallo stile incalzante e ironico che non cade mai nella retorica dell'autocompiacimento né nell'iperbole del grottesco.

Saramago non permette che nessuno si crogioli nel dolore, nella paura, nella gioia; ogni sentimento esplode e poi svanisce, stemperandosi nella insoddisfazione, nell'incontentabilità e nella ricerca di altro e di altrove. E sembra ammonire gli uomini, in modo bonario ma categorico: l'eternità è un illusione e può far paura. L'unica arma che abbiamo in dotazione per uscire vincitori da questo assurdo gioco che è la vita, è l'Amore. Questo sì, con la "A" maiuscola.
"Le intermittenze della morte" è un viaggio immaginario, alla maniera di Swift, in cui un inesistente Gulliver, la voce narrante, Saramago stesso, racconta da testimone privilegiato un luogo senza tempo e senza coordinate geografiche in cui accade un evento straordinario: l´improvvisa latitanza della morte. Un´utopia che si trasforma in dramma e che, attraverso i vari rivoli della narrazione, propone tragedie singole e collettive legate a un unico tema: l´immortalità.
Un´immortalità che non limita la vecchiaia, che non impedisce la malattia, l´incidente, il coma, la sofferenza, l´handicap, il dolore fisico e morale. Un´immortalità destinata a creare un universo di vittime sempre più anziane e sofferenti, un esercito di incontinenti, un popolo di abitatori di case di riposo (`le dimore del felice occaso´) e ospedali, in numero sempre crescente rispetto ai giovani che possono accudirli, ormai unica professione immaginabile per il futuro. Di fronte a questa situazione, come reagirà la popolazione sapendo che è sufficiente attraversare il confine per ritrovare una giusta e buona e logica possibilità di morte? Cosa decideranno i parenti dei malati terminali e quali saranno le prese di posizione del governo e della polizia e le valutazioni di tipo etico e religioso, considerando che, se da un lato la ricerca cosciente della morte può considerarsi suicidio o peggio omicidio, senza morte non c´è resurrezione e dunque non c´è Chiesa?
"Dove si andrebbe a finire se tutti passassimo a vivere eternamente, sì, dove si andrebbe a finire, domanderà l´accusa usando tutta la sua più bassa retorica, e la difesa, superfluo aggiungerlo, non ha avuto la presenza di spirito per trovare una risposta all´altezza della situazione, neanche lei aveva la minima idea di dove si sarebbe andati a finire."
Più che sulla paura della morte è sul terrore della vecchiaia che si incentra il libro. Questo non è un libro sulla morte, ma sulla vita perché non esisterebbe l´una senza l´altra. La conclusione è:
"La morte è logica, è naturale: ci appartiene. Viviamo per morire e non vivremmo se non morissimo. L´eternità paradossalmente sarebbe infinitamente peggiore".
Uno dei tratti più caratterizzanti le opere di Saramago è il narrare eventi, che si presentano come storici, da prospettive piuttosto insolite e controverse, cercando di mettere in luce il fattore umano dietro l' evento. Sotto molti aspetti, alcune sue opere potrebbero essere definite allegoriche. Saramago tende a scrivere frasi molto lunghe, usando la punteggiatura in un modo anticonvenzionale. Ad esempio, non usa le virgolette per delimitare i dialoghi, non segna le domande col punto interrogativo; i periodi possono essere lunghi anche più di una pagina e interrotti solo da virgole dove la maggior parte degli scrittori userebbe dei punti.
"Le intermittenze della morte" inizia con un avvenimento inaspettato, surreale o impossibile. Non ci si deve domandare come sia potuto accadere: è successo, punto e basta e l'autore ci chiede solo di accettare la sua proposta e seguirlo nel suo racconto. Da questo avvenimento scaturisce poi una storia complessa, occasione per studiare le mille forme del comportamento e del pensiero umano.
"Il giorno seguente non morì nessuno". Con queste parole inizia e finisce "Le intermittenze della morte".
In un non identificato Paese (una monarchia parlamentare?) del mondo, dal primo gennaio dell'anno nuovo, la gente smette di morire. Dopo un periodo di entusiasmo, cominciano i problemi. Perché è solo il momento della morte che rimane sospeso, ma non cessano le malattie, le persone continuano a invecchiare, i corpi a deteriorarsi a rimanere in bilico in un'eterna agonia che non trova mai la liberazione finale. L'assenza della morte diventa presto più insopportabile della sua presenza. Problemi su problemi si accavallano a quelli già esistenti finché...finché lo sciopero finisce, e la morte decide di annunciare il suo ritorno al lavoro...
"Tutti i giornali, senza eccezione, pubblicavano in prima pagina il manoscritto della morte, ma uno per rendere più facile la lettura, riprodusse il testo in caratteri corpo quattordici e in un riquadro, ne corresse la punteggiatura e la sintassi, sistemò le coniugazioni verbali, mise le maiuscole dove mancavano, senza dimenticare la firma finale, che passò da morte a Morte, una differenza non apprezzabile all´udito, ma che provocherà quel giorno stesso un´indignata protesta dell´autrice della missiva, sempre per iscritto e sulla stessa carta di colore viola. Secondo l´autorevole opinione di un grammatico consultato dal giornale, la morte semplicemente, non dominava neppure i primi rudimenti dell´arte dello scrivere. Già la calligrafia, disse lui, è stranamente irregolare, sembra che vi siano riuniti tutti i modi conosciuti e aberranti di tracciare le lettere dell´alfabeto latino, come se ognuna di esse fosse stata scritta da una persona diversa, ma questo sarebbe ancora scusabile, si potrebbe ancora considerare un difetto minore di fronte alla sintassi caotica, all´assenza di punti finali, al non uso di parentesi assolutamente necessarie, all´eliminazione ossessiva dei paragrafi, alle virgole distribuite a caso e, peccato imperdonabile, all´intenzionale, e quasi diabolica abolizione della lettera maiuscola, che s´immagini, viene omessa nella firma stessa della lettera e sostituita dalla minuscola corrispondente."

"Nel pomeriggio dello stesso giorno, come avevamo già anticipato, pervenne alla redazione del giornale una lettera della morte che esigeva, nei termini più energici, l´immediata rettifica del suo nome, signor direttore, scriveva io non sono la Morte, sono semplicemente morte, la Morte è una cosa che a voi non può passare neanche lontanamente per la mente che cosa sia, vossignorie, gli esseri umani, conoscono solo, che il grammatico prenda nota che anche io saprei mettere voi, gli esseri umani, conoscete solo questa piccola morte quotidiana che sono io, questa che persino nei peggiori disastri è incapace di impedire che la vita continui, un giorno verrete a sapere cos´è la Morte con la lettera maiuscola, e in quel momento, se lei, improbabilmente, ve ne desse tempo, capireste la differenza reale che c´è fra il relativo e l´assoluto, fra il pieno e il vuoto, fra l´essere ancora e il non essere più, e quando parlo di differenza reale mi riferisco a qualcosa che le parole non potranno mai esprimere, relativo, assoluto, pieno, vuoto, essere ancora, non essere più, che cosa sono signor direttore, perché le parole, se non lo sa si muovono molto, cambiano da un giorno all´altro, sono instabili come le ombre, ombre di se stesse, che tanto ci sono quanto non ci sono più, bolle di sapone, conchiglie di cui a stento si sente il respiro, tronchi tagliati, accetti pure questa informazione, è gratuita, io non voglio niente, si preoccupi invece di spiegare bene ai suoi lettori e come e i perché della vita e della morte, e ora stesso, proprio come quella che è stata la lettera letta in televisione, di mio pugno, la invita a rispettare all´istante quelle degne disposizioni della legge sulla stampa che impongono di rettificare nello stesso posto e con la stessa visibilità grafica l´errore, l´omissione, o il lapsus commessi, a suo rischio e pericolo, signor direttore, che se questa lettera non sarà pubblicata integralmente, io le spedisca, domani stesso, con effetto immediato, il preavviso che ho già bello e pronto per lei da alcuni anni, non le dirò quanti anni per non amareggiarle il resto della vita, non avendo altro da aggiungere, mi sottoscrivo con la dovuta attenzione, morte."

Ciao, a presto,
Michela



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0933 - "Navigando verso Bisanzio" di WILLIAM BUTLER YEATS


"L´ animale morente" ha ispirato Philip Roth per il suo libro omonimo dove, a pag 75 dell´ edizione ET Einaudi, si legge il riferimento alla poesia in questione. Da questo libro è stato tratto il film Elegy, titolo italiano Lezioni d´ amore, con Penelope Cruz e Ben Kingsley .
Il primo verso della poesia "Non è un paese per vecchi " è anche il titolo del romanzo di Cormac McCarthy dal quale è stato tratto il film omonimo dei fratelli Coen vincitore di 4 premi Oscar.
Vi rinnovo l´ invito a leggere l´ opera di questo grande poeta e vi suggerisco, tra le tante, due edizioni :
l´ opera ridotta "Quaranta poesie" edita da Einaudi e l´ opera completa edita da Mondadori nei Meridiani.
Su questo poeta Leggere54 ha già inviato una proposta di lettura a febbraio di quest´anno.


SAILING TO BYZANTIUM
I
That is no country for old men. The young
In one another's arms, birds in the trees--
Those dying generations -- at their song,
The salmon-falls, the mackerel-crowded seas,
Fish, flesh, or fowl, commend all summer long
Whatever is begotten, born, and dies.
Caught in that sensual music all neglect
Monuments of unageing intellect.

II
An aged man is but a paltry thing,
A tattered coat upon a stick, unless
Soul clap its hands and sing, and louder sing
For every tatter in its mortal dress,
Nor is there singing school but studying
Monuments of its own magnificence;
And therefore I have sailed the seas and come
To the holy city of Byzantium.

III
O sages standing in God's holy fire
As in the gold mosaic of a wall,
Come from the holy fire, perne in a gyre,
And be the singing-masters of my soul.
Consume my heart away; sick with desire
And fastened to a dying animal
It knows not what it is; and gather me
Into the artifice of eternity.

IV.
Once out of nature I shall never take
My bodily form from any natural thing,
But such a form as Grecian goldsmiths make
Of hammered gold and gold enamelling
To keep a drowsy Emperor awake;
Or set upon a golden bough to sing
To lords and ladies of Byzantium
Of what is past, or passing, or to come.





NAVIGANDO VERSO BISANZIO
I
Quello non èun paese per i vecchi. I giovani
Abbracciati uno all'altro, gli uccelli sugli alberi
(Generazioni morenti) intenti a cantare,
Cascate di salmoni, mari affollati di sgombri,
Carne, pesce, o uccelli, per tutta l'estate
Lodano ciò che è generato, che nasce, e che muore.
Rapiti in quella musica sensuale, tutti trascurano
I monumenti dell'intelletto che non invecchia.
II
Un uomo anziano è ben misera cosa, un lacero
Cappotto su un bastone, a meno che l'anima
Non batta le mani e canti, e canti più forte
Per ogni strappo nel suo abito mortale,
Ma non c'è scuola di canto che lo studio
Dei monumenti della sua magnificenza;
Per questo varcai i mari e sono giunto
Alla sacra città di Bisanzio.
III
0 saggi, o voi che state nel fuoco sacro di Dio
Come nell'oro musivo su una parete, uscite
Dal fuoco sacro, scendete in fila a spirale,
E siate i maestri di canto dell'anima mia.
Consumate il mio cuore; malato di desiderio
E attaccato a un animale morente
Non sa che cosa è; e raccoglietemi
Nell' artificio dell'eternità.
IV
Fuori dalla natura, io non prenderò più
La mia forma corporea da alcuna cosa naturale,
Ma quella forma che orefici greci
Fanno d'oro battuto e foglia d'oro
Per tener desto un Imperatore assonnato,
O sopra un ramo d'oro posato a cantare
Ai signori e alle dame di Bisanzio
Di quello che è passato, che passa, o che verrà.

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