domenica 22 luglio 2012

L’ accompagnatrice di Nina Berberova

Proposta di lettura di Elvira Apone
Nata nel 1901 a San Pietroburgo in una famiglia di origine armena, Nina Berberova lasciò a soli ventun anni la sua città natale con il compagno, il poeta Vladimir Chadosevic, trasferendosi con lui a Berlino. Dopo aver peregrinato per l’Europa per qualche anno, la coppia si trasferì definitivamente a Parigi, in quella periferia della città che avrebbe fatto da sfondo alla maggior parte delle opere della Berberova: la Parigi dei rifugiati russi, costretti ad un esilio che non è solo condizione fisica, ma anche spirituale e psicologica.
E’ a Parigi che Nina Berberova incominciò a scrivere i suoi primi racconti e, nel 1932, il suo primo romanzo: “L’accompagnatrice”, seguito da altri come “La sovrana”, “Il giunco mormorante”, “Il lacchè e la puttana”, “ Felicità”, da alcune biografie, tra cui quella del compositore russo Petr Ilic Chaikovskij, e da diverse raccolte di racconti.
Scriveva, però, sempre in russo, la sola lingua che abbia mai sentito come propria, l’unico legame che le rimase per tutta la vita con il suo paese natale, quel paese che rivide solo dopo molto tempo e che a stento riuscì a riconoscere come quello che aveva lasciato tanti anni prima.

“L’ accompagnatrice” è una sorta di diario intenso e sofferto scritto, appunto, in prima persona dalla protagonista della vicenda: Sonia, frutto di una breve relazione tra una pianista ed un suo giovane allievo, che Sonia non conoscerà mai: “Avevo accusato mio padre di “oltraggio”, capii in seguito di esser stata ingiusta: aveva diciannove anni, per lui mia madre era solo una tappa verso la maturità definitiva. Probabilmente non sospettava neppure che alla sua età fosse ancora vergine. Ma lei? Con quanta passione e con quanta disperazione, malgrado i momenti d’amore, doveva averlo amato per accettare un rapporto con un uomo che avrebbe potuto essere suo figlio e per generare una figlia da quel breve ed unico legame della sua vita. E che le rimaneva, di tutto questo, nella memoria e nel cuore?”
Nina Berberova traccia, così, un ritratto psicologico ed emotivo della protagonista dimostrando, sin da questo suo primo romanzo, la sua straordinaria capacità narrativa nel descrivere l’animo umano con tutte le sue emozioni, i suoi sentimenti più riposti spesso contrastanti ed ambivalenti, la sua vulnerabilità e al tempo stesso il suo inesauribile desiderio di felicità.
Anche Sonia, come sua madre, termina gli studi al Conservatorio e diviene una pianista, ma, come lei, sembra destinata a vivere un’esistenza di miseria e di solitudine che la porta persino a provare per sua madre un misto di affetto, pietà e rancore per averla messa al mondo.
Finalmente, però, la sua vita cambia quando l’unico allievo di sua madre, Mitenka, le fa conoscere una cantante lirica di successo alla ricerca di una pianista che possa seguirla ed accompagnarla al piano durante i suoi numerosi concerti. Nasce così un rapporto confidenziale e profondo tra le due donne, ma al tempo stesso ambiguo e ricco di sfaccettature: Sonia è grata a Maria Nikolaevna per averla accolta in casa sua insieme al marito, per averle dato un lavoro e la possibilità di una vita migliore, ma si sente anche da lei soggiogata, sente fortemente la sua inferiorità nei confronti di una donna bella e sicura di sé che, a differenza di lei, sembra felice ed amata da tutti: “ Lei si muove, parla e canta con grande sicurezza, accompagnando parole e movimenti con gesti calmi, misurati delle mani; sembra sprigionare una specie di calore, una scintilla – divina o diabolica -, non esita mai tra il sì e il no. Io mi sento, a volte, fasciata da una bruma di incertezza, d’indifferenza, di noia, nella quale mi dibatto come un insetto notturno si dibatte nella luce del sole, prima di accecarsi o paralizzarsi”.
Così, Sonia finisce quasi per provare invidia per Maria Nikolaevna e per quella felicità da cui lei, invece, è esclusa, e si rende sempre più conto di vivere un’esistenza vuota e spenta all’ombra di un’altra donna, vittima di un destino che non la vede mai protagonista, ma solo una scialba comparsa della sua stessa vita: “ Intorno a me c’era la gloria di un’altra, la bellezza di un’altra, la felicità di un’altra, e quel che è peggio, sapevo che erano ben meritate, che se non fossi stata seduta al piano, sul palco dove nessuno mi notava o in un cantuccio del camerino, dietro a Maria Nikolaevna, ma in mezzo alla folla che l’applaudiva e correva per vederla all’uscita degli attori, l’avrei anch’io guardata con entusiasmo, avrei anch’io voluto parlarle, toccarle la mano, vederla sorridere. Ma adesso sognavo solo di trovare un punto debole in quell’essere forte, di aver in pugno la sua vita qualora mi diventasse intollerabile rimanere nella sua ombra”.
Altrettanto fallimentari, inoltre, sono i suoi due disperati tentativi di amare ed essere riamata: il primo uomo di cui si invaghisce da ragazza e uno sciocco studente di legge escono in fretta dalla sua vita con la stessa velocità con cui ci erano entrati.
Dopo aver girato per la Russia, Sonia si trasferisce con Maria Nikolaevna ed il marito a Parigi
dove, dopo aver scoperto la relazione sentimentale della cantante con il suo giovane amante, Sonia vorrebbe vendicarsi di lei rivelando tutto al marito. L’epilogo della vicenda sarà, però, sorprendentemente diverso e le due donne si separeranno: Maria Nikolaevna partirà per l’America, mentre Sonia resterà a Parigi a condurre quella stessa esistenza di solitudine e precarietà cui sembra ormai destinata per sempre, come un cerchio che si chiude. Purtroppo, come dice Sonia a Maria Nikolaevna prima che si separino, la felicità è un dono che non a tutti è riservato e che rende inevitabilmente superiore chi lo possiede: “ Non so spiegarmi: un essere felice è superiore agli altri ( e li schiaccia un po’, naturalmente ). E non si tratta di perdonarlo, perché è un dono che ha, come altri hanno la salute, o la bellezza”.
Eppure, la speranza che, dopo tanta umiliazione e sofferenza, la vita possa finalmente restituirle ciò che merita e pareggiare i conti regalandole almeno un barlume di quella felicità da lei tanto anelata sembra ancora sopravvivere in Sonia: “ Avranno un bel dirmi che un moscerino non ha diritto di pretendere allo splendore universale, io continuerò ad aspettare e a ripetermi: non puoi morire, non puoi riposarti, c’è ancora un essere umano su questa terra. C’è ancora la possibilità che ti restituiscano ciò che ti è dovuto…. se Dio esiste”.

In questo breve romanzo, narrato con semplicità e naturalezza e dotato di una tale carica emotiva da renderlo senza dubbio un’opera di respiro universale, Nina Berberova ci ha saputo regalare la vita in tutta la sua profonda complessità, riuscendo a commuoverci e a farci riflettere.

Mi sembra calzante, per concludere, una citazione sui libri che la stessa Berberova ci ha lasciato:
“Ci sono libri che si adagiano nella loro copertina e lì rimangono, senza uscirne mai più. Ce ne sono altri che non ci stanno, sembrano straripare, vivono con noi per anni, cambiandoci, modificando la nostra coscienza. E poi c’è un terzo tipo di libri, i quali influiscono sulla coscienza ( o sull’essenza ) di un’intera generazione letteraria, lasciando la propria impronta nel secolo. Il loro “corpo” si trova sullo scaffale della libreria, ma l’anima è nell’aria, ci circonda, noi li respiriamo e loro sono in noi”.
E i suoi libri sono proprio come questi ultimi: ci rimangono dentro lasciando per sempre la loro traccia indelebile.

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