venerdì 6 aprile 2012

Incontri con l' autore : Ivan il terribile di Alcide Pierantozzi

Comitato Colonnella 2020 in collaborazione con : La bibliofila e Leggere54 presenta

Sabato 7 Aprile ore 18
Colonnella   sala E. Flaiano
Alcide Pierantozzi e  il suo libro
conversa con l' autore  Filippo Massacci

È la cattiveria di Ivan a essere così seducente? Oppure la sua tenerezza improvvisa, capace di annullare le barriere con cui gli altri ragazzi lo tengono a distanza? Di lui i coetanei sanno poco: solo che ha quindici anni ed è appena tornato in paese dopo sei mesi di carcere minorile. Ma tutti, maschi e femmine, osservando i suoi occhi di un verde magnetico, avvertono con timore l’attrazione che può innescare a suo piacimento. Soltanto in due a Roccafluvione hanno il coraggio di avvicinarlo, a poco a poco, al maneggio o a scuola: sono rivali, Sara e Federico, ed entrambi pensano di averlo conquistato, prima di scoprire la sua natura selvaggia. Sara è insicura, rabbiosa e sgraziata nonostante la passione per i cavalli; nasconde desideri feroci e una capacità di abnegazione fuori dal comune. Federico, appena arrivato dal Nord, ha un fascino irrequieto e parla come un adulto. Alle spalle hanno storie familiari dolorose e sogni tenaci, come quello comune di partire in viaggio con Ivan, anche a costo di allearsi a sua insaputa. Un van per cavalli, una notte umida, un sogno in lontananza, un’eccitazione e una violenza che non credevano di desiderare. Ivan scioglierà le loro asperità, facendoli sentire vivi e in pericolo. Alcìde Pierantozzi ha scritto di un’adolescenza che spaventa perché è vera: scaltra ma capace di assoluto; spietata. Ivan il terribile ci educa a una crudeltà nuova, e ci accompagna in un viaggio struggente attraverso una provincia dimenticata, fino al cuore del disastro delle nostre famiglie.


ALCÌDE PIERANTOZZI è nato a San Benedetto del Tronto nel 1985 e vive a Milano. Ha pubblicato i romanzi Uno in diviso (Hacca 2006) e L’uomo e il suo amore (Rizzoli 2008). Collabora con “Rolling Stone”.

Il provino di Amici è cominciato e una signora bionda, che era seduta dietro il tavolo, mi ha chiesto come mi chiamavo.

Ho deglutito e mi sono passato la mano sulla fronte. «Federico. Federico Guerini.»
La signora ha inforcato un paio di occhiali dalla montatura larga e io ho sistemato l’asta del microfono un po’ meglio, perché era bassa. Appena ho trovato la giusta misura, lei si è messa a fissarmi, attraverso le spesse lenti. Ogni tanto buttava un occhio a un fascicolo di fogli. «Leggo dalla scheda che sei un enfant prodige.»
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«Mi sa che me la sono fatta addosso, Mula» ha ridacchiato.
Io ho tremato, sentivo freddo.Ho ricacciato una lacrima nell’occhio destro e sono crollata per terra.In mezzo allo stomaco ho sentito un’ondata di caldo e ho avvertito le forze che mi tornavano a partire da lì, anzi da un po’ più sotto, dalla pancia. Solo il suo corpo enorme, il corpo enorme di Ivan che si era avvicinato, mi impediva di spingere la maniglia della porta, di sollevarmi e scappare. Ero diventata una mosca. Ivan questo lo ha capito perché, dopo che è rimasto a ridacchiare vicino alla porta, mi ha detto: «Datti una lavata, Mula». A quel punto mi sono spinta tastoni fino al secchio. La puzza di piscio che avevo addosso era indistinguibile da quella del vomitatoio. Una volta in piedi, mi sono sgranchita la schiena, una luce accecante si è fatta strada attraverso la porta e un raggio mi ha illuminato gli stivali e le gambe. Mentre mi asciugavo una guancia col dorso della mano, ho visto che Ivan usciva accendendosi una sigaretta. C’era Usa che passeggiava davanti a lui e il sole rischiarava anche la sua groppa lucida.Ivan mi ha guardata ancora con i suoi occhi verde Caraibi. Sembravano foglie, quegli occhi. Luminose e tristi. Dopo un po’, quando ho finito di asciugarmi la testa, gli ho chiesto una sigaretta. Lui si è messo le mani in tasca, ha preso il pacchetto e me l’ha tirato. Poi mi ha tirato pure l’accendino.
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Sorrideva. «È una cosa fondamentale l’uguaglianza. Una cosa che starà scritta sicuramente anche nel tuo libro di Trust». «Si chiama Proust» ho fatto io. Passargli una mano sui capelli lì davanti a tutti mi sembrava rischioso, ma l’ho fatto lo stesso. Aveva la fronte calda, leggermente sudata.
«Smettila di toccarmi» ha detto lui. «Hai le orbite attorno agli occhi. Che hai combinato stanotte dopo che sono andato a casa?»
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