venerdì 27 gennaio 2012

I sommersi e i salvati di Primo Levi

PRIMO LEVI E LA MEMORIA SALVATA


Proposta di lettura di Alceo L.

Agli amici di Leggere 54 vorrei segnalare l’ultimo libro scritto da Primo Levi che costituisce una sorta di summa e definitiva sistemazione del pensiero dell’autore. A distanza di oltre vent’anni dalla loro pubblicazione le lucidi riflessioni de I Sommersi ed i Salvati continuano ancora ad interrogare le nostre coscienze (uscirono in effetti nel 1986, un anno prima della tragica scomparsa dell’autore). Esse sono un’analisi attenta, spietata, senza nessuna indulgenza a sentimentalismi o rivendicazioni di sorta, di quello che l’autore stesso definisce come il più grave eccidio di massa che ancora si ricordi. Si può fare riferimento a tanti altri capitoli tristi e tragici della storia universale, ma la sistematica operazione di epurazione condotta dai nazisti nei confronti non solo degli ebri d’Europa ma anche dei dissidenti politici, degli omosessuali, degli zingari e dei portatori di handicap, proprio per la scientifica premeditazione, la metodica applicazione di mezzi tecnologici, la sconfinata crudeltà dimostrata dai carnefici, omologati alla struttura di potere sia per acritica adesione alle sue logiche perverse che per paura o codardia, non ha confronti con nessun altro tipo di ignominia umana.
Le parole di Levi in questo senso riescono ad essere illuminanti proprio perché asciutte e taglienti, precise come quelle di uno scienziato impegnato ad esaminare con implacabile rigore la materia su cui si piega. Levi sa muoversi su più piani, da grande scrittore e lucido osservatore quale è, scienziato anch’egli (la sua professione era quella di chimico) ed intellettuale a tutto tondo.La voce che ci arriva da questi scritti è a tratti quella del testimone, scampato alla feroce brutalità del lager, ma per altri versi deriva dalle attente valutazioni del sociologo, dell’etnologo, del linguista ed anche, come è ovvio, dello storico-cronista, che ci restituisce i fatti nella loro scarna nudità esaltandone la valenza di testimonianza e monito. Quest’uomo straordinario per la potenza del ricordo che emana ad ogni sua pagina, per il quale il racconto diviene un preciso dovere morale, un’esigenza imprescindibile ed irriducibile dopo il peso della sofferenza vissuta, si slancia con ardore nella scrittura per comunicare ai posteri, senza schemi ideologici o idee preconcette, la brutalità di una tragedia, già per sua natura, di difficile rappresentazione..
L’opera si snoda su una serie di interpretazioni incentrate sul dramma dell’Olocausto, affrontate sulla base di spunti tematici diversi ed analizzate sin nei più sottili meccanismi di funzionamento: la cosiddetta zona grigia, dunque il forzato collaborazionismo nei lager, la necessità della comunicazione in lingua tedesca come labile forma di sopravvivenza nel mondo concentrazionario, la logica perversa di omologazione ad una disciplina militare disumanizzante e al fanatismo guerresco di stampo prussiano. La trama insomma di quelle terribili fabbriche di morte viene svelata ed osservata sotto più profili per metterne in evidenza la brutalità e le assurde motivazioni che le sottendevano.
Primo Levi è stato uno dei pochi superstiti che ha avuto la possibilità di tramandare i suoi ricordi, sia pur nella difficile condizione psicologia del sopravvissuto. Dei 650 ebrei trasportati dal campo di raccolta di Fossoli nel modenese a quello di concentramento di Auschwitz, in Polonia, il 22 febbraio del 1944, stipati ad oltre 50 individui per vagone, solo 20 persone si salvarono. Le dolorose ferite interiori inferte dalla tragedia collettiva vissuta e rielaborata nel lutto avrebbero fatto di Levi una vittima ritardata della detenzione ad Auscwitz, accrescendo nell’autore quel senso di angoscia lacerante che lo avrebbe portato al suicidio, sebbene le circostanze della morte restino a tutt’oggi non completamente chiarite. Il sipario sulla vita di Primo Levi cala l’11 aprile 1987 dopo una rovinosa caduta dalla tromba delle scale del sua casa di Torino. Di lui rimarrà la figura di un uomo moralmente integro che ha portato l’opinione pubblica ad una più forte e decisa presa di coscienza sociale su quella terribile ed innominabile pagina della storia umana che va sotto il nome di Shoah.
Si dice che Philip Roth, scrittore americano di origini ebree tuttora vivente, interrogato su chi fosse secondo lui lo scrittore più significativo di tutta la letteratura italiana, abbia evocato proprio Primo Levi, dato che, dopo l’uscita di Se questo è un uomo, a pochi anni dalla fine del conflitto e precisamente nel 1948, “nessuno avrebbe più potuto affermare di non essere stato ad Auschwitz”. Primo Levi insomma costituisce, nell’ambito della storia della nostra letteratura, e non solo, un punto di non ritorno.
Come stimoli per la lettura di questo libro, di evidente importanza per la formazione di ogni cittadino, valgano alcuni estratti che ho giudicato particolarmente significativi.
Quelli ad esempio in cui Levi parla dei processi di deformazione del ricordo o rimozione volontaria della memoria messi in atto dai nazisti nel tentativo di cancellare ogni traccia del passato.

“Come caso limite della deformazione del ricordo di una colpa commessa, c’è la sua soppressione. Anche qui il confine tra buona e male fede può essere vago; dietro i “non so” e “non ricordo” che si sentono in tribunale c’è il preciso progetto di mentire, ma altre volte si tratta di una menzogna fossilizzata, irrigidita in una formula. Il memore ha voluto diventare immemore e ci è riuscito: a furia di negarne l’esistenza, ha espulso da sé il ricordo come si espelle un’escrezione o un parassita […] Il modo migliore per difendersi dall’invasione di memorie pesanti è impedirne l’ingresso, stendere una barriera sanitaria lungo il confine. E’ più facile vietare l’ingresso ad un ricordo che liberarsene quando è stato registrato. A questo in sostanza servivano molti degli artifizi escogitati dai comandi nazisti per proteggere le coscienze degli addetti ai lavori sporchi, per assicurarsi i loro servizi, sgradevoli anche per gli scherani più induriti. […] Del resto l’intera storia del Terzo Reich può essere riletta come guerra contro la memoria, falsificazione della realtà, negazione della realtà, fino alla fuga definitiva dalla realtà medesima”.

Sull’esigenza di comunicare per non rivivere passivamente la storia e lasciarsi dominare dagli eventi, spettatori passivi del proprio destino, preparando ai posteri un modo manipolato dai coscientizzatori di massa, lascio ad ognuno lo spazio ed il tempo, se vorrà, di riflettere sulle parole rivelatrici ed attualissime di Levi.

“Salvo casi di incapacità patologica comunicare si può e si deve: è un modo utile e facile di contribuire alla pace altri e propria, perché il silenzio, l’assenza di segnali, è a sua volta un segnale, ma ambiguo, e l’ambiguità genera inquietitudine e sospetto. Negare che comunicare si può è falso: si può sempre. Rifiutare di comunicare è colpa; per la comunicazione ed in specie per quella sua forma altamente evoluta e nobile che è il linguaggio, siamo biologicamente e socialmente predisposti. Tutte le razze umane parlano; nessuna specie non-umana sa parlare”....

Le sue considerazioni circa quel non ben definito confine tra bene e male che porta Levi a rifuggire da un certo manicheismo tranciante e che nel contesto dei Lager ha visto, pur con tutte le dovute distinzioni che si devono ai singoli casi, le vittime, non sempre per costrizione o paura, trasformarsi in complici dei carnefici, più o meno coscienti del loro ruolo.

“Siamo capaci noi reduci di comprendere e di far comprendere la nostra esperienza? Ciò che comunemente chiamiamo “comprendere” coincide con “semplificare”(…). Tendiamo a semplificare anche la storia; ma non sempre lo schema entro cui si ordinano i fatti è individuabile in modo univoco e può dunque accadere che storici diversi comprendano e costruiscano la Storia in modi tra loro incompatibili; tuttavia è talmente forte in noi, forse per ragioni che risalgono alle nostre origini di animali sociali, l’esigenza di dividere il campo tra “noi”e “loro” che questo schema, la bipartizioni amico-nemico, prevale su tutti gli altri. La storia popolare, anche la storia quale viene tradizionalmente insegnata nelle scuole, risente di questa tendenza manichea che rifugge dalle mezze tinte e dalle complessità (…). L’ingresso in Lager era invece un urto per la sorpresa che portava con sé. Il mondo in cui ci si sentiva precipitati era sì terribile ma anche indecifrabile: non era conforme ad alcun modello, il nemico era intono ma anche dentro, il “noi” perdeva i suoi confini, i contendenti non erano due, non si distingueva una frontiera ma molte e confuse, forse innumerevoli, forse tra ciascuno e ciascuno”.

Esistono due bei volumi dell’Einaudi sull’opera: uno, ormai fuori catalogo, è quello inserito all’interno dell’Opera Omnia dei Levi nella storica collana Nuove Universale Einaudi, che con po’ di fortuna potrete ancora trovare (è l’edizione che chiaramente consiglio). L’altra nei più diffusi TASCABILI, di cui sono disponibili varie ristampe, è presente un po’ in tutte le librerie.

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