domenica 9 ottobre 2011

Un viaggio particolare nella passione della lettura

Proposta di lettura di Massimiliano A.

Caro Filippo,


stavo pensando ad un libro da proporre ai lettori di Leggere54. Dopotutto di libri che mi son piaciuti ce ne sono, se non tantissimi, almeno qualcuno. Ma cosa potrei proporre?
Ecco, potrei scegliere uno dei miei romanzi preferiti…anzi, per lungo tempo è stato proprio il mio romanzo preferito… mi sembra che il titolo fosse, tipo: Il professore e le rose o qualcosa del genere, adesso mi sfugge, dovrei cercarlo. Comunque è un romanzo russo anzi, sovietico; e l’autore è il grandissimo…coso, qualcosa con “ov” o con “enko” mi sembra. Ad ogni modo quel che importa è la storia che è bellissima, che poi se ne intreccia un’altra in cui c’è Ponzio Pilato e il Diavolo e la testa di un tizio che ruzzola lungo i binari di un tram. Beh, forse è meglio che me lo rilegga un po’, prima.
Ah ecco, intanto posso proporre quest’altro, sì. Ah bellissimo…mi ricordo che c’era Stanlio e anche quello grasso (o è Stanlio quello grasso?) e, ma credo di sbagliarmi perché non c’entra niente con i due, c’era anche il celebre investigatore che poi al cinema era quell’attore anni ’40 sempre con la sigaretta in mano. Però l’ho letto tanto tempo fa e non è che mi ricordi granché, in effetti.
Ci sarebbe pure un ottimo racconto – francese mi pare - ma riesco a ricordarmi, non so perché, solo che il protagonista sale su un autobus e si arrabbia perché lo spingono, poi si libera un posto e si mette a sedere. Detta così non sembrerebbe molto interessante eppure mi ricordo che mi era piaciuto tantissimo!
Ora succede che, per combinazione, mentre sto cercando quest’ultimo libro sullo scaffale della libreria, mi càpita tra le mani quest’altro: si chiama Ossessioni, sottotitolo:Tre racconti e una riflessione. Lo apro a caso verso la fine e inizio a leggere. Primo pensiero: “oddio, questo tizio è (quasi) come me!”. Secondo pensiero: ”ma non l’avevo già letto?” Boh, vattelo a ricordare! Comunque c’era scritto così:

“Sprofondo sulla sedia davanti alla scrivania. È una vergogna, uno scandalo. Leggo da trent’anni e, se non ho letto molto, almeno alcune cose sì, e tutto quello che mi rimane è il vago ricordo che nel secondo volume di un romanzo di mille pagine [I demòni, ndr] qualcuno si spara con una pistola. Trent’anni di letture per niente! Migliaia di ore della mia infanzia, della mia gioventù e dei miei anni di uomo adulto di cui non conservo altro che un grande vuoto. E non è che questo problema tenda a diminuire, al contrario, si aggrava. Se oggi leggo un libro, quando arrivo alla fine ho già dimenticato l’inizio. A volte la memoria non mi basta più nemmeno a ricordare una pagina. Così dimentico di capoverso in capoverso, da una frase alla successiva, e presto arriverò al punto di riuscire ad afferrare consapevolmente solo le singole parole, che nel momento della lettura mi verranno incontro dall’oscurità di testi sempre sconosciuti, s’illumineranno come stelle cadenti per sprofondare subito nell’oblio tra gli oscuri flutti del Lete. Quando si discute di letteratura, già da tempo, non posso più aprire bocca senza fare figure orribili confondendo Mörike con Hofmannsthal, Rilke con Hölderlin, Beckett con Joyce, Italo Calvino con Italo Svevo, Baudelaire con Chopin, George Sand con Madame deStaël eccetera. Quando cerco una citazione che ricordo vagamente, passo giorni interi a sfogliare libri perché ho dimenticato l’autore e perché mentre cerco mi perdo nei testi sconosciuti di autori ignoti, finché alla fine dimentico addirittura cosa stavo cercando. Come potrei permettermi, in uno stato d’animo così confuso, di dire quale singolo libro mi abbia cambiato la vita? Nessuno? Forse tutti? Qualcuno a caso? Non lo so.
Ma forse – così penso per rincuorarmi – forse nella lettura (come nella vita) i cambiamenti non sono tanto improvvisi. Forse la lettura è piuttosto un processo impregnante, qualcosa che si assorbe, ma in modo così impercettibilmente osmotico che uno non se ne accorge nemmeno. Il lettore afflitto dall’amnesia in litteris è stato dunque cambiato dalle sue letture, ma senza rendersene conto perché, mentre leggeva, gli si è modificato anche quel lato critico del cervello che gli potrebbe dire che sta cambiando. E per uno che oltretutto scrive, questa malattia sarebbe magari addirittura una benedizione, sì, quasi una condizione necessaria, se soltanto riuscisse a proteggerlo dal paralizzante timore che ogni grande opera letteraria ispira, e se gli consentisse di avere un atteggiamento schietto nei confronti del plagio, senza il quale non può nascere niente di originale.
Lo so, è una scusa indegna e pigra nata dalla necessità, e cerco di liberarmene: non puoi cedere a questa terribile amnesia, penso; devi nuotare con tutte le tue forze contro la corrente del Lete, non devi più annegare miseramente in un testo, ma affrontarlo con sguardo limpido e critico, devi stralciare, memorizzare, provocare un flusso di pensiero, in sostanza devi – e qui cito da una famosa poesia, di cui in questo momento mi sfuggono l’autore e il titolo, ma il cui ultimo verso è come un costante imperativo morale che porto scolpito indelebilmente nella memoria: «Devi», dice, «devi...devi...»
Che rabbia! Adesso non riesco proprio a farmi venire in mente la sequenza esatta. Ma non importa, ho ben presente il senso. Era qualcosa del tipo: «Devi cambiare la tua vita!»

P.S. ah già, non ho detto chi è l’autore. L’autore si chiama…allora, si chiama…dove diavolo ho messo il libro?

Massimiliano

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