martedì 1 febbraio 2011

Isola sotto il mare di Isabel Allende

 Proposta di lettura di Melisa C.
" Isola sotto il mare " di Isabel Allende

Dopo le prime pagine di lettura di “La isla bajo el mar” (L’isola sotto il mare) di Isabel Allende mi sembrava di ritornare alle ambientazioni di “ Wide Sagrasso Sea” di Jean Ryhs; sara’ per la presenza dell’eredita’ creola, per l’ambiente coloniale o solo per la forza del personaggio femminile. Ma non potrei mai parlare del testo dell’Allende associandolo al testo di Jean Rhys altrimenti dovrei anche parlare di Jane Eyre di Emilie Bronte e a questo punto farei ancora piu’ confusione e Filippo mi direbbe immediatamente “e’ la prima proposta di lettura che fai e guarda che pesantezza…”
Pero’ vi scrivo questo per darvi un’idea di come il personaggio principale del testo, la schiava Zarite’, sia uno di quei personaggi “duri, sofferenti e dolci” tipici dell’ Allende come poi prima lo erano quelli della Bronte o di Jane Austen. Con il passare delle pagine invece la mia mente ha associato il testo alla mia prima passione: la musica, in particolare il gospel e il raw blues. Le origini di questi generi musicali arrivano dall’Africa, dagli schiavi forzati a lavorare nelle piantagioni di cotone e di zucchero della Louisiana, del Missisipi, dell’Alabama. Il testo dell’Allende ci trasporta nella vita delle piantagioni di Saint Dominique, colonia prima spagnola, poi francese e poi Americana , quella che ora e’ Haiti. E insieme alla musica dei tamburi si associano i riti voodoo, la magia nera e “i dottori delle foglie”. E’ bellissimo il modo in cui l’Allende descrive il terrore dei ricchi proprietari bianchi di fronte alle conoscenze di questi riti incompresibili e allo stesso tempo temibili. Nel mezzo della mia lettura la tragedia del terremoto di Haiti apparve come una tragica coincidenza del fatto che stessi leggendo un testo ambientato a Port au Prince. Le immagini secondarie alla televisione di queste donne che cantano, ballano e invocano i loa in cerchio cercando di cacciare il male e alleviare il dolore non sembrano molto lontane dai personaggi del romanzo. La storia di Haiti e’ una storia tragica ma estremamente interessante per l’insieme di culture che offre. Pensate che nel testo si parla di diversi “colori di pelle nera” ed in base alla gradazione del nero si “ereditava” un certo livello nella classe sociale. Quindi vi lascio immaginare l’immensita’ di diversita’ culturali sull’isola. “La Isola sotto il mare” e’ un testo che affronta la durezza della schiavitu’ e del colonialismo ma anche un testo romantico e a volte frivolo. Per esempio molto colorito e’ il personaggio di Violette, la coquette mulatta che acquistava vestiti francesi di gran moda al mercato di contrabbando ma si abbelliva la pelle con le erbe di Tante Rose. Ammirate la contraddizione, donna mulatta perche’ figlia di una schiava nera abusata dal suo padrone bianco, che si veste con abiti di moda francesi ma usa creme preparate con le erbe dello “stregone” tante Rose. In quanti mondi diversi vi portera’ questo testo se lo leggerete….

Personalmente non amo raccontare e discutere delle trame dei libri che leggo, la mia memoria e’ pessima, dovrei rivedere ad ogni momento i nomi e i fatti per darvi un resoconto preciso ma l’ ho fatto perché ritengo interessante raccontare cosa un testo abbia scaturito nella mente del lettore e cosa gli/le ha regalato. Amo Isabel Allende, la sua storia e i suoi testi e credo fortemente che prima di leggere questo romanzo dovreste arricchirvi con la biografia immensamente particolare di questa scrittrice. Mentre leggete il testo approfondite la storia di Haiti , anche per meglio comprendere i fatti che viviamo oggi. Haiti e’ stata la prima colonia nera a ribellarsi e a diventare indipendente e credo che fin’ad oggi sia stata "punita" (o dimenticata di proposito) per questo’..ma qui si parlerebbe di politica....e allora meglio lasciare perdere...

Approfondite le vostre conoscenze sui riti voodoo magari ascoltando il gospel di Reverend Louis Overstreet. Conoscete meglio la cultura creola…e la sua cucina (il sig. Toulouse padrone di Zarite’ di origini francesi odiava rientrare in Francia e lasciare l'ottimo cibo della sua cuoca e ogni volta che rientrava in patria si ammalava per il pessimo cibo francese a confronto dei fantastici ingredienti offerti dall’isola).

Cosi' alla fine del romanzo potrete ammettere di avere fatto un giro del mondo passando per Francia, Spagna, Africa, Haiti, Lousiana e Cile, avere un bagaglio culturale piu’ pesante…essere ingrassati di qualche chilo dopo la scoperta di fantastiche ricette creole, ammettere che vi ho suggerito un gran disco, il gospel Reverend Louis Overstreet e spero avervi allietato con la lettura di quello che considero un ottimo romanzo.

Toulouse Valmorain arrivò a Saint-Domingue nel 1770, lo stesso anno in cui il Delfino di Francia sposò l'arciduchessa austriaca Maria Antonietta. Prima di partire per la colonia, quando ancora non sospettava che il destino si sarebbe beffato di lui facendolo finire sepolto tra i canneti nelle Antille, era stato invitato a Versailles a una delle feste in onore della nuova Delfina, una ragazzina bionda di quattordici anni che sbadigliava ostentatamente nonostante il rigido protocollo della corte francese. Tutto ciò riguardava il passato. Saint-Domingue era un altro mondo. Il giovane Valmorain aveva un'idea piuttosto vaga del luogo in cui suo padre impastava alla bell'e meglio il pane di famiglia con l'ambizione di trasformarlo in un tesoro. Aveva letto da qualche parte che gli abitanti originari dell'isola, gli arahuaco, la chiamavano Haiti prima che i conquistadores le cambiassero il nome in La Española e massacrassero tutti i nativi. In meno di cinquant'anni non era rimasta nemmeno l'ombra di un arahuaco: erano morti tutti, vittime della schiavitù, delle malattie portate dai bianchi e suicidi. Erano uomini dalla pelle rossastra, capelli spessi e neri, dall'imperturbabile dignità, così miti che uno spagnolo da solo poteva batterne dieci a mani nude. Vivevano in comunità poligame, coltivando con cura la terra per non esaurirla: patate dolci, mais, zucche, arachidi, peperoni, patate e manioca. La terra, come il ciclo e l'acqua, non ebbe padrone fino a quando gli stranieri non se ne impossessarono per coltivare piante mai viste grazie al lavoro forzato degli arahuaco. A quei tempi ebbe inizio l'usanza di aperrear, uccidere persone indifese aizzando contro di loro i perros, i cani. Quando ebbero sterminato gli indigeni, importarono gli schiavi rapiti in Africa e i bianchi dall'Europa, galeotti, orfani, prostitute e ribelli. Alla fine del 1600 la Spagna aveva ceduto la parte occidentale dell'isola alla Francia, che l'aveva chiamata Saint-Domingue e che sarebbe diventata la colonia più ricca del mondo. All'epoca in cui Tòulouse Valmorain arrivò lì, un terzo delle esportazioni della Francia, grazie a zucchero, caffè, tabacco, cotone, indaco e cacao, proveniva da quell'isola. Ormai non c'erano più schiavi bianchi, e quelli neri ammontavano a centinaia di migliaia. La canna da zucchero, l'oro dolce della colonia, era il prodotto più duro da coltivare; tagliare la canna, triturarla e ridurla a sciroppo non era lavoro da esseri umani ma da bestie, come sostenevano i piantatori.
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“Aspetta, Tété. Vediamo se ci aiuti a risolvere un dubbio. Il dottor Parmentier sostiene che i neri siano umani quanto i bianchi e io dico il contrario. Tu che ne pensi?” le domandò Valmorain, in un tono che al dottore sembrò più paterno che sarcastico. Lei rimase muta, con gli occhi rivolti a terra e le mani giunte. “Forza, Teté, rispondi senza timore. Sto aspettando…”


“Il padrone ha sempre ragione” mormorò lei in conclusione.
“In altre parole, pensi che i neri non siano completamente umani…”
“Un essere che non è umano non ha opinioni, padrone.”


Melisa C.

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